Un compleanno speciale…

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Oggi è un compleanno speciale. È quello di mia figlia. Venti anni. Il suo nome fu scelto perché ha una storia, è un nome che non invecchierà mai, classico, armonioso, che anche un poeta ha decantato in una sua poesia. Silvia. E a lei faccio gli auguri per i suoi anni, per quelli vissuti in serenità e quelli più dolorosi. Sì, perché anche i giovani hanno le loro sofferenze, e spesso gli adulti sottovalutano i loro problemi. Ma la sofferenza di un ventenne o di un quindicenne è la stessa di un settantenne, il cuore, se si parla d’amore, batte allo stesso modo, e se si parla di dolore non è l’esperienza o la vecchiaia a doverci far dire che un giovane soffre meno e che tutto passerà. La sua infanzia l’ho vissuta, le ho regalato il mio senso dell’umorismo, le mie battute, il mio tempo sulla playstation, i cartoni animati guardati insieme su un divano, il gioco nei parchi, le passeggiate in bicicletta, i compiti per la scuola. Le ho dato l’amore, quello che un padre sente per una figlia. Sempre troppo poco, forse. Poi il destino ha voluto che la famiglia non esistesse più, che la separazione tra moglie e marito diventasse una linea di confine. E ho continuato ad amare mia figlia, con tanto dolore, perché una separazione non fai mai bene a nessuno, meno che mai ai figli. Inutile che oggi si dica… ma tanto ormai i figli sono abituati a questo genere di cose, la società è cambiata. È vero, è cambiata, ma i figli, anche se siamo in “un’era moderna”, del distacco dal padre e una madre che si separano, ne soffrono, sempre. Ed è così che nascono mille incomprensioni, probabilmente senza avere mai la possibilità di chiarire fino in fondo le cause. Ma io continuerò ad amare mia figlia come quando era bambina e mi saltava all’improvviso sulle spalle, o mi veniva incontro correndo quando mi vedeva appena uscita da scuola. La amerò nel bene e nel male, anche se mi offendesse, se mi trattasse male, se mi uccidesse. La amerò sempre e per sempre. Tanti auguri, Kikki… come regalo potrei mandarti una lacrima, che vale più di un paio di jeans alla moda o un paio di occhiali griffati.

Loyos Isztoika e Karol Racz

Karol e il biondino. Accusati di stupro. Ormai tutti li conoscono, le loro foto e i filmati sono apparsi decine di volte sui telegiornali. Loyos ritratta, Karol si ritiene innocente. C’è qualcosa che non torna in tutta questa storia. A detta del biondino, pare che la confessione gliel’abbiano estorta con la forza la polizia italiana e quella romena. Non ci credo. Ma non perché ritengo i poliziotti (di qualsiasi Paese) puri e lindi come i santi, ma solo perché per estorcere una simile confessione avrebbero dovuto ricorrere alla tortura, come nel Medioevo, e non con qualche pugno ben assestato. Sì, certo, i cazzotti non fanno bene a nessuno, ma sono convinto che se io stesso fossi accusato di un omicidio che non ho commesso, non credo che confesserei tanto facilmente qualcosa che non ho fatto. Forse lo farei con i vecchi strumenti di tortura, ferri arroventati, sedie con chiodi che ti si conficcano nel sedere, estirpazione di unghie. Ecco, sì, probabilmente confesserei. C’è qualcosa che non torna, quindi. Ma non sarà che gli avvocati difensori, con la loro astuzia, ad un certo punto sono loro stessi a consigliare all’assistito di ritrattare per seguire poi vie legali più complicate ma che fanno venire dubbi sugli accusati? Chissà perché, spesso, le cose si complicano improvvisamente, e il fatto che i due ragazzini innamorati li abbiano riconosciuti non valga più. C’è la storia del DNA. Mah! Mistero. Ma sia chiaro: non condanniamo nessuno se non abbiamo prove certe, perché è meglio un colpevole fuori, che un innocente dentro.

Per mio padre

9 marzo 1987. Mio padre è morto durante un’operazione chirurgica, e io ero su quel treno che da Roma mi portava a Firenze, all’ospedale di Scandicci. Sapevo che era già in sala operatoria, ma durante le prime due ore del viaggio ero tranquillo, sentivo che tutto sarebbe andato bene. Il rumore del treno, come sempre, cullava i miei pensieri, mi faceva tornare bambino, come sempre, rassicurava la mia mente, come sempre. Ma con il passare dei minuti, il rumore che fino a quel momento sembrava darmi la spinta verso un sano ottimismo, iniziò a farsi cupo e minaccioso. Eppure quella mattina c’era il sole, si sentiva già la primavera, la vita che iniziava nuovamente un altro ciclo eterno. No, non c’era più l’ottimismo che mi accarezza sempre in ogni situazione; al suo posto era subentrato con la forza il senso del disagio. E non era impossibile da decifrare. Qualcosa non andava per il verso giusto, ne ero sicuro ormai. Quando arrivai all’ospedale mio padre era morto da pochissimi minuti, dieci, cinque, forse due. Mia madre e mia sorella erano già lì, da più di tre ore, l’avevano salutato, avevano raccolto il suo ultimo sorriso, un sorriso ottimista, come il mio. Io invece non avevo potuto abbracciarlo, non avevo potuto dirgli che gli volevo bene. E quante cose avrei voluto confessargli e chiedergli prima che morisse. E invece tutto è rimasto strozzato nella mia gola, solo perché si pensa che un padre e una madre siano immortali, che non ci abbandoneranno mai, che non moriranno mai. E invece muiono anche loro. Ho pianto, per ore, senza sosta. E oggi, a distanza di così tanti anni, penso a lui come la persona più buona che abbia mai conosciuto, nonostante il suo carattere a volte un po’ burbero, la sua sana severità. Lo so che mi voleva bene, ma anche lui sapeva che anch’io gliene volevo, molto. Però volevo parlargli di più, chiedergli di più della sua vita, andare nel profondo della sua anima. Non ce l’ho fatta, non ne ho avuto il tempo. Con mia madre invece è stato diverso: memore dell’esperienza vissuta, mia madre l’ho vista morire, le ho raccontato tutto di me e lei di se stessa. L’ho baciata e abbracciata prima che morisse.

Recensione alla serata jazz…

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Grazie a tutti coloro che sono venuti ieri sera al Modì La Nuit a sentire un po’ di jazz dal vivo. Il nostro secondo appuntamento in questo locale intimo e accogliente è stato più che positivo. Rispetto alla prima volta si è visto un sensibile aumento di pubblico, e devo davvero ringraziare chi si è mosso, vincendo la pigrizia o la tv ipnotizzante per passare una serata all’insegna della buona musica (modestamente), per pochi euro. Anche il prossimo mese saliremo di nuovo su quel palco, perché Valerio D’Alelio, musicista, amico e gestore del locale, crede nel ritorno dei musicisti che regalano la loro musica in tutti i locali disponibili ad accoglierli. Tra qualche giorno, con un nuovo post, informerò tutti del nostro nuovo concerto al Cinema Teatro Lux di Pisa, il 21 di marzo, dove apriremo una rassegna jazz. A poi i dettagli. Di nuovo grazie a tutti per essere venuti. Il file audio è un pezzo del nostro repertorio registrato… con mezzi di fortuna.

Sabato 7 marzo: Jazz

Jazzin' in Blue Jeans Quartet.JPGEccoci al nostro secondo appuntamento al Modì La Nuit, il locale in Via del Litorale 164, a Livorno. Il Jazzin’ in Blue Jeans Quartet, nella foto, è formato da: Stefano Del Bono, contrabbasso; Max Fantolini, piano; Anna Rubini, vocalist; Sergio Consani, batteria. Inizieremo alle 22, sabato 7 marzo, in questo locale davvero molto accogliente e ben gestito da Valerio D’Alelio, mio vecchio amico sin dai tempi in cui lui suonava nei Modì e io nei Pionieri. Eh… altri tempi, quando allora la musica viva era cosa di tutti i giorni. Ma se voi amate sentire il suono vero, quello che ti entra nell’anima mentre osservi i musicisti a pochi passi da te, allora rimane ancora la speranza che i locali riaprano i battenti alla musica dal vivo. Vi aspettiamo. Se volete essere sicuri di sedere ad un tavolo, prenotate al 338/2802198. Il costo del biglietto è di € 10, consumazione compresa.

Nuovo corso di scrittura a Livorno

Ebbene sì, sta per iniziare il nuovo corso di scrittura. La vogliamo chiamare creativa? Chiamiamola così. Anche perché, per chi inizia o per chi ha già un minimo di esperienza, di creatività sempre si parla. Il corso inizierà venerdì 13 marzo, alle ore 21, in Via San Giovanni 30, a Livorno, presso la sede della SVS, che gentilmente, come ogni volta, ospita me e i miei allievi. E i vecchi allievi adesso volano per conto loro, hanno acquisito le nozioni per creare i loro lavori dopo aver partecipato alle mie lezioni, con umiltà e entusiasmo. Ci siamo divertiti, e questo è un qualcosa che va considerato. E loro adesso sono un gruppo di amici, con i quali spesso ci riuniamo per una pizza e parlare di noi. Meglio di così non si può. Nessun timore per chi vuole affrontare questa esperienza, mi raccomando: qui si viene per imparare qualcosa, scambiarci opinioni, stare in compagnia, scrivere senza pudori, lasciarsi andare. Il nuovo corso avrà la durata di tre mesi, ogni venerdì, dalle 21 alle 23, e se avete qualcosa nel cassetto, tiratelo fuori e portatelo. Contattatemi per conoscere i dettagli e i costi che, anche quest’anno, sono davvero alla portata di tutti. E naturalmente non ci sono limiti di età: da 0 a 100 anni tutti hanno il diritto di mettere nero su bianco le proprie emozioni. La mia email è: sergioconsani@alice.it

Il gioco dell’angelo

Ho letto il tuo secondo romanzo, caro Carlos Ruiz Zafon, “Il gioco dell’angelo”. Lo aspettavo con ansia, dopo che “L’ombra del vento” aveva lasciato in me una traccia di colori, di gioia per la lettura, di rispetto per chi sa di essere un vero scrittore. E invece mi hai deluso. Forse hai voluto strafare. O forse è stata la tua casa editrice ad importi di scrivere il secondo romanzo importante con più pagine, molte più pagine. Fino alla metà ero ancora immerso nel tuo bel tocco da romanziere, catturato dalla storia intrigante e con poche sbavature. Poi ho sentito che avresti potuto chiudere il tutto con altre cento pagine e lasciare al lettore la voglia di leggere il tuo terzo romanzo. Che non leggerò. Invece hai scritto altre quattrocento pagine, trasformando il tuo protagonista in una sorta di Superman, di eroe da film americani, al quale tutto succede e tutto porta a compimento, anche se si trova sulla bocca di un vulcano in eruzione. Perché? Mi chiedo. Perché hai voluto strafare? Chi ha buon occhio e spirito di osservazione e legge molto, non può non aver percepito che molte di quelle pagine non erano tue. O meglio, non avresti voluto scriverle. Non leggerai mai questo post, ti ho visto anche su Facebook e ho chiesto la tua amicizia per poterne parlare: ma tu non mi hai ancora risposto. Se metti la tua faccia su Facebook, almeno una volta è doveroso rispondere a chi ti chiede qualcosa, altrimenti che ci vieni a fare su Facebook? Guarda… non mi voglio arrendere e forse comprerò anche il tuo terzo romanzo, ma per favore, non superare le quattrocento pagine, altrimenti mi viene da pensare che la tua casa editrice ti faccia scrivere di più per una ragione ben precisa: visto il tuo successo, l’editore è sicuro che la gente comprerà il tuo libro che, se ha più pagine, costa di più. Chiaro, no? Non consiglierò comunque a nessuno Il gioco dell’angelo. Mi dispiace. ma non è certo per invidia. Infatti consiglio a tutti di leggere L’ombra del vento. Un grande romanzo.

Un’ultima cosa su Eluana…

Sì, un’ultima cosa su di lei, poi il silenzio sarà il miglior modo per lasciarla in pace. E il silenzio, in questo caso, non vuol dire dimenticarsene, anzi. Sono dalla parte del Presidente della Repubblica e non dalla parte del Presidente del Consiglio, ma ho avuto molti dubbi per come le cose sono andate. L’idea ipocrita per esempio di lasciar morire Eluana non è del tutto chiara: staccare i tubi, non alimentarla più. Questo significa che io non provoco la morte iniettandoti nelle vene del cianuro per farti soffrire di meno, bensì “ti lascio andare” da sola. Mi viene in mente quando negli Stati Uniti, dove in alcuni Stati, per eseguire una condanna a morte, venivenao scelti degli uomini armati di fucile. Cinque o sei, mi pare, proiettile in canna, ma… uno di quei proiettili era a salve. Come a dire… io sparo, ma posso anche non aver ucciso, visto che ho una probabilità su sei di aver avuto in canna un proiettile a salve. Un modo ipocrita per lavarsi la coscienza. Ecco, con Eluana hanno fatto la stessa cosa, e forse l’hanno fatta soffrire di più (nel caso abbia sentito qualcosa), facendola agonizzare. Ipocriti, tutti. O si ha il coraggio delle proprie azioni, altrimenti è meglio non farne di niente. Le scelte drastiche non possono essere fatte a metà. Un’ultima cosa davvero: non giudico il padre di Eluana, la sua sofferenza è troppo personale e indecifrabile per poter esprimere un qualsiasi giudizio; il suo amore per la figlia gli ha fatto scegliere una via che può essere più o meno condivisibile, ma un appunto glielo devo fare: hai fatto male a scrivere quel libro, anche se hai raccontato le tue sofferenze; questo era davvero il momento in cui dovevi calarti nel silenzio e pregare (se credi) affinché tua figlia ora stia meglio di prima.

Manca un pezzo di vita…

Non esiste persona alla quale non manchi qualcosa. Chi ha il denaro a volte è colpito da una disgrazia, chi è sereno non ha soldi, e c’è chi, come si dice, ha pane e non ha i denti e chi ha i denti e non ha pane. Siamo tutti sopra un’ipotetica scala: guardi sopra di te e vedi gente che sta meglio, guardi sotto e c’è la miseria umana. E’ già una fortuna trovarsi a metà di quella scala, e di questo dovremmo esserne già felici. Ma ciò che ti fa stare peggio è la mancanza d’amore, l’amore che ti sazia, che ti fa sorridere anche quando non ne hai voglia. L’amore del tuo partner, quello dei tuoi genitori, degli amici, e dei figli. L’amore per i figli. Questo è vita. Tu li ami, sempre, incondizionatamente, per sempre. Loro a volte si dimenticano: basta uno sgarbo nei loro confronti, e te la fanno pagare. Noi perdoniamo, loro quasi mai. Lo capiranno solo quando a loro volta saranno genitori e i figli gli renderanno pan per focaccia. Vorrei che lo capissero prima, perché, pur avendo fatto mille errori, dovreste essere orgogliosi, figli miei, di avervi amato. E, insieme a vostra madre, di avervi regalato la vita.

Recensione a una bella serata

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Musica jazz. Non facile da ascoltare, ci vuole un orecchio un po’ particolare e abituato a certe sonorità che non sono troppo vicine al genere cosiddetto “leggero”. Tre strumenti: pianoforte, batteria e contrabbasso: nessun effetto elettronico, nessun marchingegno che mascheri le armonie di ciò che ascolti. Tutto allo stato puro, semplice, senza fronzoli. E poi la voce, che non si fa aiutare dagli effetti. Un esame continuo quello di suonare jazz. Non hai scuse né aiuti, ma solo il cuore che ti spinge, la passione, e la bravura. Essere bravi vuol dire anche avere tecnica, sì, ma se non “senti” quello che suoni o canti, la tecnica diventa inutile, è solo un’accozzaglia di virtuosismi che stanca e non ti da emozioni. Chi canta deve saper trasmettere le emozioni, così come il pianista con le sue improvvisazioni, il bassista con il suo swing che scivola sulle corde del contrabbasso, il batterista creando ritmi che non sovrastino gli altri. Ieri sera è stata una serata dove il pubblico sembra aver apprezzato la passione dei “Jazzin’ in Blue Jeans Quartet”, al Modì La Nuit. E questo incontro con il jazz diventerà un appuntamento che si ripeterà ogni mese. Ma dobbiamo “educare” la gente a venire ad ascoltare questo genere di musica che sembra allontanare solo perché si chiama Jazz, che ad alcuni sembra una parola che proviene da una musica stantia, non moderna, difficile da ascoltare. Non è così, e non lo dico perché io sono uno dei quattro componenti del gruppo, ma perché il jazz è nato tanti anni fa e rimarrà immortale, come la musica classica. E chi dice… “il jazz? a me non piace!”vuol dire che se l’ho ha ascoltato qualche volta non l’ha davvero ascoltato, ma solo sentito, magari di sfuggita. Invito tutti coloro che sono un po’ prevenuti e che non sono abituati a questo genere, a venire a sentire un po’ di jazz, almeno una volta. Vi garantisco che vi innamorerete. Un ringraziamento lo devo a Valerio D’Alelio, colui che gestisce (e che suona ogni sera al Modì) il locale, che ha capito che il Modì La Nuit, per quanto è carino e ben tenuto, può diventare anche un luogo di incontro per ascoltare del buon jazz. E grazie ai miei compagni, Anna Rubini, Max Fantolini e Stefano Del Bono.