Botte da orbi…

Botte da orbi, sprangate, manganellate, cassonetti rovesciati, sedie e tavolini dei bar lanciati come proiettili, sassi, sanpietrini, sangue, feriti, arresti. Ora io dico… ma un buon ministro, intelligente e umile nel capire i propri sbagli, non vede quello che succede? E la Gelmini una semplice domanda del tipo “Ma può essere che abbia fatto qualcosa di sbagliato?” non dovrebbe porsela? E’ la prima volta che vedo gente di destra e di sinistra (quelli intelligenti e non quegli idioti di destra che sono andati in Piazza Navona con il furgoncino carico di mazze e catene) che si schierano uniti contro un decreto inaccettabile. Vorrà pur dire qualcosa, no? Cara Gelmini, non faccia sempre il gioco del padrone, si renda conto che ha acceso una miccia che per ora ha fatto esplodere una bomba tradizionale, ma che più tardi farà esplodere qualcosa di ben più potente. Lei, i suoi colleghi ministri e l’imprenditore Cavaliere state tirando troppo la corda, sento odore di vero despotismo, di tagli alla libertà e non solo di tagli alle scuole, sento il sapore acre della rabbia che sale per ribellarmi contro la vostra arroganza. Cavaliere… l’Italia si governa come uno Stato e i cittadini non sono impiegati che lavorano nelle sue aziende. Non ci governi con lo stile dell’imprenditore, ma con la saggezza di un vero politico. Il problema è che lei politico non è. Ora ci mancava anche Licio Gelli a spuntar fuori come un fungo dopo una pioggia inquinata! E’ proprio vero… l’erba cattiva non muore mai. Anzi… i funghi velenosi.

Una domanda facile facile…

Ma cos’è l’amore? Sì, è questa la domanda facile facile. Io, dall’alto della mia “saggezza”, dei miei anni intrisi di amore-delusioni-gioie-dolori non l’ho ancora capito. Stupitemi con le vostre risposte, vi prego. E stupite chi ancora non l’ha provato, o chi l’ha provato e come me non ha ancora capito bene come funziona.

CRISI

Il vocabolario ci spiega così la parola “crisi”: fase della vita individuale o collettiva, particolarmente difficile da superare e suscettibile di sviluppi più o meno gravi da superare. Crisi economica (in azione), crisi di governo (frequente), crisi di coppia (all’ordine del giorno), crisi di nervi (che dire?), crisi di coscienza (frequente). Siamo circondati dalle varie crisi, spesso impotenti di fronte ad alcune, più propensi a combatterne altre. In ogni caso siamo sempre faccia a faccia con una fase particolarmente difficile da affrontare. Oggi ci sta schiacciando particolarmente quella economica, e la cosa che maggiormente mi disturba è quella di vedere – in molti servizi delle varie reti tv – questi anziani scaricati da questo allegorico carro della vita, come zavorra. Lo so, non ci sono solo gli anziani in condizioni di disagio, ma oggi mi va di parlare di loro, per una semplice ragione: che i vecchi, spesso, sono soli. Una giovane coppia, che non arriva a fine mese, ha in mano la gioventù, la forza, la possibilità di esternare con il compagno la propria sofferenza, e trovare in esso un po’ di conforto. Il vecchio no. Il vecchio ha dato il suo contributo alla società, ora è stanco, spossato, forse non ha più la moglie accanto, forse morta, forse mai avuta. Non serve più. La vita lo relega nei bassifondi, là dove basta un piccolo starnuto per far venir fame, insaziabile, alla morte liberatrice. Al vecchio operaio si danno quattrocento euro di pensione. Al vecchio si danno i nipoti fino a che regge. Al vecchio si dice che non può rimanere in famiglia perché sai… la tua salute precaria… noi si lavora… come si fa?… forse in un centro anziani avresti tanti amici. Il vecchio è utile solo quando è giovane, è ovvio. È vero, c’è anche il vecchio rompicoglioni, quello dispotico, nevrotico, affetto da un morbo, sulla sedia a rotelle, smemorato, inaffidabile. Ma sì, diamogli un bel calcio nel culo, tanto a che servono! Vedo una vecchietta che piange con dignità di fronte ad una telecamera, piange una rabbia che non sfocia mai, rassegnata con i suoi trecento euro al mese, con un figlio che non va mai a trovarla e una figlia troppo indaffarata per andarla a trovare ogni giorno. Va be’, diamo un calcio nel culo anche a lei. Ha fatto la sua vita, che vuole di più? Oggi i giovani devono correre, non possono voltarsi indietro, se qualcuno cade… cazzi suoi! Tanto eri troppo vecchio per seguirci, e i vecchi che non riescono a tenere il passo… giù, dal carro. I Governi, nella loro proverbiale atavica immobilità, abbassano lo sguardo, scuotono la testa, dispiaciuti di fronte a questi vecchi che vanno a racimolare avanzi di frutta ai mercati in tarda mattinata, quando ormai i giochi sono fatti. Forse questi Governi sono dispiaciuti davvero, ma possibile che non ci sia soluzione? Crisi. Mi è venuta una crisi di nervi perché non avrò mai una risposta. Sto invecchiando… e forse anche i miei figli mi daranno un calcio nel culo. Lo ammetto: con tutti i miei errori commessi nella mia vita, non credo di meritarmelo.

A proposito di Capitali della Satira by Matrix…

E’ capitata ad hoc la trasmissione di ieri sera a Matrix, condotta da Mentana sul tema “Capitali della satira”, dopo il mio ultimo post su Livorno. Ospiti in studio: Mario Cardinali, direttore del Vernacoliere, Paolo Ruffini e Dario Ballantini. In collegamento da Parma: Cristiano Lucarelli. Quattro livornesi DOC. Si parlava di quanto i livornesi siano un popolo di sarcastici burloni, anarchici incalliti, talentuosi artisti fuori dalle regole. Mentana si è sganasciato dalle risate. Ma non basta essere divertenti. Ruffini ha detto una cosa che, pur se vera, mi costringe a dargli addosso. Ha detto infatti che Livorno, città piena di talenti, non ha poi la possibilità di trattenere i suoi artisti, i quali devono per forza di cose andarsene in altre città che offrono di più. In un certo senso è vero, ma è pur vero che se abbandoniamo la città, non diventerà mai la culla di un qualcosa se non del solito cacciucco, le tope del Cardinali e “boia che mare che c’abbiamo!”. Ecco perché, caro Ruffini, sarebbe bene che ogni tanto ci riunissimo, noi scrittori, attori, conduttori, musicisti e artisti in genere, e facessimo sentire la nostra voce. Prendiamo una delle tante cantine lungo i fossi, fondiamo le idee e combattiamo affinché Assessorati alla Cultura, produzioni, teatri e quant’altro accolgano le nostre iniziative. Livorno era un ritrovo, un punto fondamentale degli artisti, una vera culla, appunto. Non lasciamola andare questa città. E anche te, Virzì (che ti ho fatto anche avere il mio ultimo romanzo e non mi hai neanche ringraziato), non avere la puzza sotto il naso: sei un livornese anche te, e anche se in Tv appari come un tipo alla mano, “ganzo” e intelligente, sappi che proprio di gente come te Livorno ha bisogno. Ricordatevi sempre – come disse una volta un famoso attore – che bisogna stare molto attenti alla gente che s’incontra quando si sale la scala del successo, perché è la stessa gente che incontrarai quando quella scala la scenderai.

Noi, gente di Livorno

E così anche Livorno, città che verso la metà dell’Ottocento era meta di artisti, di bella gente, di cittadini accoglienti, di palazzi architettonicamente bellissimi, sta diventando una città sporca, incivile, maleducata, inospitale come tante altre. Le bombolette spray hanno lasciato il loro segno su ogni muro, sulle saracinesche, sulle colonne, i gradini e perfino per terra. Motorini smarmittati, gente che passa la notte sotto le finestre e parla e urla come se fossero le quattro del pomeriggio. I livornesi si sono sempre sentiti un po’ fuori dal coro, ultimo baluardo del comunismo in virtù del fatto che il partito è nato proprio qui nel 1921. Noi abbiamo il mare, e in Toscana siamo gli unici “ganzi” ad avercelo. I fiorentini, i lucchesi, i pistoiesi, tutti vengono da noi. Anche i pisani. Siamo forti noi livornesi. Abbiamo il mare. Poi però c’è qualcuno che brucia decine di cassonetti, o qualcun altro che riga le auto in sosta. E poi c’è quel gruppo di ragazzi che sul muro ha appena scritto: fjhj hjoof rcdsf. Cosa vuol dire? Mah! C’è una scritta illeggibile, un segno, un marchio, come la pisciata di un cane per marcare il territorio. Ma i vigili dove sono? E la Polizia Municipale che fa? E il sindaco dov’è? Siamo forti noi livornesi. Siamo ironici, sarcastici, dispettosi, burloni come quei due che falsificarono le teste di Modigliani. Ma intanto l’arte sparisce, i cinema chiudono, la mostra di quadri alla Rotonda è diventata una vetrina per pochi professionisti e molti ciarlatani. Siamo forti noi livornesi. Anarchici fino all’osso. Ma per essere anarchici bisogna essere intelligenti, e soprattutto non rompere le palle al prossimo. C’è per favore qualche livornese che vuol dire la sua?

Una donna…

Aveva il sapore di pesche, aromatica, convincente, e le sue labbra avide sembravano chiedere il piacere, la soddisfazione, il culmine della conoscenza;

La bocca di lei. La donna che Raul pensava fosse colei che l’avrebbe seguito lungo il cammino della vita, senza volgere lo sguardo, dichiarando a se stessa e agli altri che il futuro era suo ed era lei a decidere ciò che ne doveva fare.

Era ingenua e forse presuntuosa, così come una ragazza di vent’anni può esserlo, senza veli, né pudori, né senso di responsabilità per sé e verso gli altri. Tutto, a suo dire, le era dovuto; l’ingenuità la faceva apparire paradossalmente misteriosa, colma di ideali irraggiungibili e inspiegabili persino per lei; la presunzione era semplicemente un orpello giovanile che si portava addosso, inconsciamente, magari supponendo che il mondo fosse lì per essere cambiato o che era tempo che qualcuno si decidesse a rivoluzionare il senso della vita, delle religioni, della società. Era lei che ballava leggiadra nella nebbia rara che si vedeva dalle nostre parti, cantando inni di gioia e di speranza; era lei che incitava al bene, all’utopia raggiungibile e probabile, al sogno realizzabile del siamo tutti uguali, al bene comune, all’amore.

Tutti erano innamorati di Lamas; i ragazzi, i genitori dei ragazzi, i preti, i professori, gli amici, i vicini, chi non la conosceva. Era un amore che provavano appena le puntavano gli occhi addosso, perché Lamas, al suo passaggio, liberava nell’aria un’enorme quantità tangibile di odori, profumi, sguardi, movimenti e gesti che non eri in grado di lasciarli passare inosservati. Era la donna e la femminilità in persona, la madre, la figlia, il dono dei sentimenti, dell’amore puro e della sofferenza implicita. Eppure parlava poco, spesso a monosillabi, a volte regalava una frase, altre volte un ciao, altre volte ancora t’incantava con un discorso ininterrotto che durava anche un minuto e dentro al quale c’era racchiuso un mondo. Un mondo suo, ma un mondo. Per questo, nuovo.

Teatro e Cinema: la sceneggiatura

Corso di sceneggiatura teatrale e cinematografica al VERTIGO, Livorno

Docente: Sergio Consani

La scopo di questo corso è di intraprendere un viaggio nel mondo della creatività usando come strumento la scrittura. Un cammino che permetta di affrontare la creazione letteraria e scenica e di valorizzare il Teatro. Il corso di scrittura avrà la durata di sei mesi e sarà articolato in una lezione settimanale di due ore. Saranno affrontati i temi tecnici riguardanti la sceneggiatura teatrale e cinematografica, attraverso un percorso stabilito:

L’idea (genere e argomento), Il soggetto (scaletta e trattamento), La sceneggiatura (impostazione all’americana), La struttura della storia, La caratterizzazione dei personaggi (protagonisti e antagonisti e figure di secondo piano), Il conflitto, La progressione drammatica, Il dialogo.

Gli allievi potranno lavorare in gruppi o singolarmente durante la stesura delle sceneggiature scelte durante il corso. L’intento è quello di preparare una sceneggiatura teatrale da mettere in scena alla fine dell’intero corso e presentare una sceneggiatura cinematografica ad eventuali produzioni. Il corso avrà inizio giovedì 2 ottobre, dalle ore 19,30 alle 21,30, ma con una novità: il 29 settembre infatti, alle ore 21, ci sarà una riunione aperta a tutti coloro che sono interessati al corso. Sergio Consani illustrerà agli invitati il percorso e i metodi adottati durante i sei mesi di lezioni. Tutti, curiosi e non, avranno libero accesso al Centro Culturale Vertigo per saperne di più ed eventualmente iscriversi.

Per info e costi: telefonare al numero 0586/210120 dalle ore 18 alle ore 20, dal lunedì al venerdì. Oppure scrivere una email a: vertigoteatro@tiscali.it

Centro Culturale Vertigo, Scali del Pesce, 11 – Livorno www.vertigoteatro.it

   

Il burqa da corsa

Forse è l’occhio degli occidentali, ormai abituato alle cosce e alle tette delle veline e delle attrici, o alle chiappe che passano sugli schermi come se fossero gabbiani di passaggio ai quali nessuno presta ormai non più di tanta attenzione; in ogni caso vedere la campionessa d’Asia dei 200 metri correre con “il burqa da corsa” mi ha, potrei dire, rattristato. Non certo perché di Roqaya al-Gassra non sono riuscito a vedere neanche un centimetro quadrato della sua pelle (ad eccezione di quella del viso): con le altre belle, eleganti, muscolose e armoniose atlete potevamo senz’altro rifarci gli occhi. Mi ha disturbato ancora una volta vedere qualcosa di diverso, di molto diverso, di tristemente diverso. Non mi venite a parlare di religione, per favore: molte religioni sono state la rovina delle menti umane, e questa è storia, non lo dico certo io. E l’uomo, cioè il maschio, ha sempre avuto il sopravvento sulla donna, e della donna ha sempre fatto quel che voleva. Non fatemi fare esempi, ci staremmo fino a domani. E’ ancora dura a morire l’infibulazione o l’excissione in certi Paesi africani, o il volto coperto completamente dal burqa. Basta solo questo. Rispetto le culture, perché ho girato mezzo mondo e so che non c’è niente di peggio che criticare gli usi e costumi di popoli lontani fisicamente e culturalmente da noi, e rispetto quindi anche le loro religioni. Ma se certi usi e costumi o tradizioni toccano la dignità o la libertà di un essere umano, allora mi ribello. Mi ricordo che alcuni anni fa la ex-modella somala Waris Dirie iniziò una campagna contro l’infibulazione e l’excissione, cioè il taglio netto del clitoride. Se l’era inventato l’uomo questo bel modo di “difendersi” dalla donna, semplicemente togliendole il piacere. Lo imponeva la loro religione. Indignatevi.

Effetto Venezia

“Effetto Venezia”, per chi non conosce Livorno forse non sa neanche di cosa si tratti. E’ una manifestazione che si svolge nel quartiere della Venezia, tra canali, cantine, vecchi palazzi che hanno resistito alla guerra, luci, bancarelle, spettacoli itineranti, concerti alla Fortezza Vecchia, la Fortezza Nuova, Piazza del Luogo Pio, Piazza dei Domenicani. Ristoranti, trattorie, osterie, tutti aperti fino a notte tarda. Peccato che il 10 agosto finisca, perché non sarebbe male far durare questa manifestazione – la XXIII – almeno un mese intero. Ma chissà, forse gli abitanti di quella zona non sarebbero molto d’accordo: la confusione allegra, il divieto di entrare con le macchine e motorini, la musica… cose che danno fastidio. Il bello è che qui a Livorno – ma immagino anche in molte altre città – la gente si lamenta per le poche cose organizzate, culturali o d’intrattenimento che siano, poi, quando le abbiamo, si lamenta lo stesso. Abbiamo avuto Italia Wave pochi giorni fa: una lamentela. Insomma, vogliamo essere un po’ meno provinciali?