Yes, we could

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Good morning son. I woke up and I thought to write a post for you, even though my blog is in Italian and people here won’t understand why I’m doing it. On the other hand English became an international language and most of the people know it, many in a elementary way, but sufficiently to understand the meaning. I should keep for me, I suppose, my emotions and not to show them to everybody, but why not to do it if a blog is also a way of giving people a part uf us? I’d like to thank life for giving me a son who had the strenght to be what you are today. You are a man now, with all the heavy problems that a man has to carry during his life, and I know that you’re handling them as one should do: with patience, intelligence and love. I’m proud of your strenght, and a little less proud of myself if I think about the father I’ve been and how I could have been if life made me different. But it’s too easy to say “if”; I was born in a way and I tried to be a better man during this hard, long street. Did I do it? I don’t know. May be. I can’t judge myself, but you and Silvia, “your sister” will do it. What I can give both of you, through the words, is the only thought of love, wich it may be not enough, but it’s the only thing I have. Sometimes I wonder why God gave us so many pains and what is his project, that’s why I ask him to do me a favor: do whatever you want with me, but don’t let my son and my daughter loose respect and love for me. I don’t deserve it, even if I’m not perfect. Whatever I did, I didn’t want to hurt anybody. Take care, son, and don’t forget that love is the only thing that moves people and souls.

Non ci siamo Silvio, non ci siamo…

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Hai rotto le palle, Silvio, te lo dico come se fossimo vecchi amici, anche se forse tu ed io non saremmo mai potuti essere amici. Chissà. Hai rotto le palle perché adesso con questa storia di Ruby e di tutte le altre signorine mezze mignotte (mezze si fa per dire) la gente si è distolta dai veri problemi che assillano questo nostro povero Paese. Sembra quasi che – paradossalmente – tu ti sia messo d’accordo con i magistrati spiegando loro che se il popolo volge lo sguardo verso un accadimento così futile e idiota (ma pruriginoso) e ne viene attratto, allora tutto il resto passa in secondo piano, e questo ti fa gioco. Ci sono gli operai della Fiat da salvaguardare, Silvio, c’è gente senza lavoro, i pensionati che non arrivano alla fine del mese, noi artisti che con tutti i tagli che avete fatto campiamo male e alla giornata, ci sono le strade dissestate, l’immondizia che ci strangola, la burocrazia, la giustizia lenta, la violenza, la benzina che sale, i commercianti che aumentano i generi alimentari senza un vero controllo. Senti quante cose ci sono, Silvio. E gli italiani si fanno rincoglionire dalle notizie dei tg, e aspettano di sapere quante donnine c’erano nella tua villa a Arcore, aspettano di sapere il tariffario degno di un casino di altri tempi. Sul giornale oggi c’era scritto… (senza omissioni né tagli censori) 300 euro per un pompino… 300 euro per una notte… ecc. Le intercettazioni di una telefonata tra Fede e quella rifatta della Minetti. Un puttanaio, un vero puttanaio. Ma l’essere umano ci si crogiola in queste notizie, l’essere umano è un guardone (altrimenti non guarderebbe il Grande Fratello, figlio tuo). Insomma Silvio, hai rotto le palle con i tuoi capelli trapiantati e il tuo non governare. E poi smettila di raccomandare gente come la parlamentare Maria Rosaria Rossi o come altre mignotte (non mezze) che infili dappertutto. La gente ora ha bisogno di gente seria che governi, che dia affidamento, che non faccia demagogia. E poi, anche se a me delle tue prestazioni sessuali e di chi ti porti a casa non me ne frega niente, ti consiglio vivamente di sceglierti persone che abbiano un minimo di senso del pudore. Voi siete quelli che dovreste dare l’esempio al popolo, e se voi combattete la prostituzione e poi a casa vostra ci portate le mignotte pagandole profumatamente, la nuova generazione cosa deve pensare di voi? Sei fortunato Silvio perché c’hai una valanga di soldi, ma ricordati che tra un po’ (quando sarà il tuo momento, intendo) lascerai questo mondo, come tutti, e la tua anima dovrà essere ripulita un bel po’ prima che ti riaffacci in questo mondo per viverti un’altra vita. Da operaio.

1° febbraio: nuovo corso di scrittura creativa

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Nuovo corso di scrittura creativa, tenuto da Sergio Consani, che inizierà a Livorno il 1° febbraio 2011. Il corso avrà la durata di quattro mesi e le lezioni si terranno al Centro Sociale Borgo, in via degli Asili 47 (con parcheggio interno), ogni martedì, dalle 21 alle 23. Si lavorerà sulla tecnica del racconto e del romanzo, la struttura di una storia, l’incipit, come trovare un’idea, gli intrighi, la caratterizzazione dei personaggi, il protagonista, l’antagonista, i finali. E poi saranno prese in esame le trame di alcuni libri famosi per studiarne i colpi di scena, gli intrecci, la forza dei personaggi.

Il corso è aperto a tutti, non ci sono limiti di età e soprattutto non ci sono limiti di bravura: ognuno ha il diritto di mettere su carta le proprie emozioni, semplicemente, senza pudori e cercando di confrontarsi con gli altri.

Per info e costi scrivere a sergioconsani@alice.it oppure telefonare al numero 338/2170128.

Sergio Consani è scrittore e sceneggiatore, e attualmente insegna sceneggiatura cinematografica alla Scuola di Cinema Vertigo, nell’ambito di un progetto che vede coinvolti Marco Conte (insegnante di recitazione) e Luca Dal canto (insegnante di regia e storia del cinema).

Ha scritto cinque romanzi. L’ultimo, un e-book, uscito a dicembre 2010, s’intitola “Lo storno e la poiana”, edito da Prospettivaeditrice. Il sito web dell’autore: www.sergioconsani.altervista.org

 

Silvie Bansky

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Conosco tuo padre, Silvie Bansky, un certo S. Bansky, e conosco la vostra storia. Hai cambiato nome, e fin qui niente di strano; ma il cognome no, non avresti dovuto, neanche per scherzo. Magari il tuo è un gioco, una sfida, un voler ferire tuo padre dimostrandogli che sostituendo il tuo vero cognome con un altro inventato puoi allontanarlo ancora di più di quanto tu non abbia già fatto. Come dire… mi chiamo Bansky adesso, grazie per avermi messo al mondo, caro padre biologico, ma non mi servi più. E non mi serve più neanche il tuo cognome, perché io sono figlia di me stessa e non ho bisogno di te. Non è così, piccola Bansky, perché tuo padre è un uomo che per te darebbe la vita, ma tu questo non lo sai, non lo immagini, non lo concepisci. Te l’ho detto, conosco tuo padre e so chi è. So che a volte è un po’ sfortunato, ma, come si dice, ognuno crea da solo le proprie fortune o sfortune, e quindi addebitare al destino le disgrazie che capitano nella vita sembra un po’ anacronistico. Be’, questo per chi non crede nel destino, per chi non crede che il caso esiste, per chi non ha voglia di pensare che oltre questa vita di merda intrisa di superficialità e di apparenze c’è qualcosa di più nobile. So che tuo padre nasconde delle verità che a te non ha mai potuto svelare, ma solo per difenderti e non mettere in cattiva luce altre persone che ti circondano. So che tuo padre è onesto, buono e leale. So che tuo padre ti ama. E questo basterebbe per distruggere qualsiasi forma di orgoglio. Sono l’orgoglio e la paura di mettersi in discussione ciò che ci spaventa di più; ma la vita bisogna affrontarla, non sfuggirla, per non esserne catturati e non cadere nel vortice del pressapochismo, dell’apparire e non dell’essere. Ho un messaggio da parte di tuo padre e te lo trascrivo così come lo ha detto a me: dille che qualsiasi cosa succeda non versi lacrime, né di dolore né di rimpianto. Se la vita ha voluto questo è perché dovrà imparare cosa vuol dire avere un figlio.

Dedicato a Marino Gioia

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Questo nome ai più è sconosciuto, e questa storia non interesserà a molti. Ma non m’interessa. Marino non c’è più, se n’è andato, per sempre. Ci ha lasciato ieri, durante la notte, in una stanza d’ospedale. Dire che Marino era un amico è riduttivo. Quando io sono nato, nella camera da letto di una casa del rione Coteto a Livorno, lui aveva dieci anni e abitava al piano di sopra. Io crescevo e lui diventava grande. Era un’esistenzialista lui, con i suoi maglioni neri a collo alto, le canzoni di Tenco e De André, la sua chitarra, il suo pensare anarchico, la sua voce profonda. Lo ammiravo. Io ragazzo e lui uomo. Poi quando a diciannove anni suonavo in un quintetto di professionisti e il nostro leader cercava qualcuno che suonasse il basso e cantasse bene, feci il nome di Marino. Ma Marino suonava la chitarra. Nessun problema: si comprò un basso e lo imparò e ce ne andammo tutti in America, a suonare sull’Island Princess, una nave da crociera. Ecco, da questo momento in poi tra me e Marino s’instaurò un rapporto di vera amicizia, non più con quella differenza di età che ci allontanava. Eravamo entrambi uomini. Ma sapeva molte più cose di me, e da lui di cose ne ho imparate molte. Mi ha insegnato a giocare a scacchi, e facevamo interminabili partite sul ponte della nave, sotto il sole dei Caraibi. Abbiamo scoperto insieme la passione per la fotografia e a Saint Marteen ci siamo comprati la nostra prima reflex. E quando io mi sono sposato con Char, lui è stato il mio testimone. Poi le nostre strade si sono divise: lui rimase sulla nave per qualche anno e io in California. Quando sono tornato in Italia ci siamo rivisti, giocato di nuovo a scacchi, condiviso decine di cd jazz, cenato insieme. Marino è un pezzo della mia vita. Potrei dire un pezzo di vita “che se ne va”, e invece no: è un pezzo di vita che rimane, perché l’amicizia è un dono che va conservato, sempre. Addio Marino, mentore, amico, vicino di casa, testimone e artista timido.

Buon Anno…

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È opprimente il silenzio profondo di chi non può sentire. Immersi nel ronzio costante ed eterno del nulla, chi non sente gode della vista. E con essa appaga i sensi. Colori, scie luminose, eclissi, tramonti e voli d’uccello non hanno bisogno di rumori per esprimersi, e il sordo sorride come noi. Ma non sentirà il pianto del figlio, un grido d’aiuto, un clacson, il rumore di una cascata e neanche qualcuno che gli dice: ti amo. Chi non vede invece ascolta, immagina, vola con la fantasia alle parole dette e sussurrate, si dipinge arcobaleni senza colori, naviga in un mare grigio dalle forme indefinite. Qualcuno gli sussurra “ti amo”, e lui sorride, accarezza la pelle, ascolta il battito del cuore. Ma non vedrà mai il sorriso di chi gli sta accanto, e neanche quello di un figlio, che di sorrisi vive. Chi non parla, il muto, ha tanti vantaggi. Non risponde se non vuole rispondere, neanche a gesti, ascolta attentamente, fa sue le parole, non spettegola, non ferisce, non incita. E vede i tramonti, ascolta il frangersi delle onde, il fischio di un treno. Ma non può dire “ti amo”.

E allora faccio gli auguri di buon anno a tutte queste persone che vivono con un senso in meno, e che in mancanza della vista, o dell’udito, o della parola sviluppano quell’altro senso, il sesto, che raccoglie emozioni illimitate, che fa capire le cose, che rende meno aspri, che sviluppa quella sensibilità di cui noi, monchi di un pezzo d’anima, ne ignoriamo l’essenza.

 

Caro Babbo Natale…

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Questo disegno del mio amico fumettista Luciano Bernasconi mi dà lo spunto per una letterina.

Caro Babbo Natale…

No, è troppo scontato iniziare così. E poi perché caro? Caro lo dico a un mio amico, a qualcuno che mi sta a cuore.

Bene, allora iniziamo con… Babbo Natale!

Brutto così. Forse meglio iniziare con un semplice “caro Natale”. Natale? No, Natale è anche un nome proprio, c’è pure il mio macellaio che si chiama così.

E allora… Babbo! Macché babbo! Di babbo ce n’ho uno solo! Mmh… sarà vero?

Via su, torniamo al vecchio “caro babbo Natale” e non se ne parla più.

Caro Babbo Natale, sei diventato un personaggio famoso da tempo immemore, così famoso che ormai tutti non possono fare a meno di te.

Il bello è che sei diventato famoso e lavori un giorno all’anno. Durante gli altri 364 giorni non fai una sega dalla mattina alla sera, abbeverando le tue renne e al massimo dando loro un po’ di mangime! È bene dirlo! È bene dirlo perché tutti gli altri lavorano quasi tutto l’anno e non sono neanche famosi. Vedi com’è ingiusto il mondo?

E poi parliamoci chiaro, già le tue origini sono discordanti; pare che il tuo nome derivi da un personaggio storico, un vescovo, un certo San Nicola di Mira, turco. Mah! E questo vescovo, per far sì che tutti conoscessero il cristianesimo, mandava i suoi parroci vestiti con abiti rossi e simili a quelli vescovili nelle case per portare la parola di Dio. E ci andavano con un sacco pieno di regali per i bambini. Brutti ruffiani!

Il bello è che anche loro avevano una slitta, che però, contrariamente a te che ti sei modernizzato con le renne, era trainata da dei cani.

Poi, la leggenda di San Nicola ha dato spunto agli olandesi per fare una grande festa, dal cui nome è derivato l’altro che hai tu: Santa Claus.

Deciditi… come ti dobbiamo chiamare? Così ci confondi, confondi i bambini, confondi i vecchi, confondi chi è indeciso.

E poi, scusa… ma dov’è che abiti? Gli americani dicono che abiti al Polo Nord, i canadesi che abiti nel nord del loro paese, i finlandesi in Lapponia, i norvegesi a Drobak – dove sembra tu abbia addirittura il tuo ufficio postale –, alcuni dicono in Svezia, altri in Groenlandia.

Vedi? Non te l’aspettavi tutte queste informazioni su di te, eh? Ma sai, è stato facile, oggi con… Wikipedia si sa tutto.

Hai troppe case, Babbo Natale, e non paghi nemmeno l’ici. Tu sei uno di quelli che si fa grande perché ci porti un po’ di regali, ma in realtà i bambini, quelli piccoli, non sanno ancora che i regali li paghiamo noi. E che regali! Ormai non basta più un libro di fiabe, un maglioncino di lana o una bambola di pezza: oggi ci vuole la play-station, il computer, il cellulare ultima generazione. Eh, sì, perché i bambini non sono più quelli di una volta, sono cambiati anche loro, sono più svegli, magari più intelligenti no, ma più svegli e pretenziosi sì. E glielo abbiamo insegnato noi a pretendere, perché ormai la parola “no” pare non esista più nel vocabolario di noi genitori. Ma così va il mondo.

Cosa posso chiederti quest’anno che non sia retorico e scontato?

Lo scorso anno, tanto per non uscire dalla retorica, ti avevo chiesto… la pace nel mondo, niente più guerre, un po’ di… solidarietà per Berlusconi, ti avevo detto di proteggere i bambini dal freddo, dalla fame e dalle malattie, una pensione… più sostanziosa per i parlamentari, un po’ di coraggio per Bersani, una faccia nuova per Gasparri, un paio di labbra vere per la Santanché, una bandiera rossa per D’Alema, una bella donna come quella disegnata, un po’ di felicità e soldi per me. E di riavere mia figlia. E tu non hai fatto niente di tutto questo. E neanche gli altri anni mi hai ascoltato.

E allora cosa ti chiedo quest’anno se poi non mi ascolti e dopo qualche ora ritorni in Lapponia… no, a Drobak… no, in Groenlandia… no… insomma, torna un po’ dove ti pare! Eh? Cosa posso chiederti?

Sì, una cosa ce l’avrei.

Un po’ di rispetto. Sì, solo un po’ di rispetto, perché la tua apparizione fugace non basta, non si può essere buoni solo una volta l’anno, non si può fare una tregua di guerra solo in quelle ore alzando il calice da una trincea e mostrarlo al nemico che mostra la sua di coppa e si chiede… ma perché devo ammazzare quello là che mi fa un brindisi?

Rispetto. Perché se tu fossi qui tutti i giorni, forse la gente sarebbe migliore, capirebbe che questo spirito natalizio imbiancato dalla neve e alleggerito dalle note di Jingle Bell dovrebbe essere eterno, indistruttibile.

Se ci lasci soli per 364 giorni, la gente, l’indomani, già a Santo Stefano, non sa più neanche chi sei, perché tu hai già preso la tua slitta, volando alto, lassù verso le stelle, guardando di sotto e sussurrando… “vi voglio bene, ma vi vado in…”

Va bene, va bene, noi abbiamo bisogno di rispetto, e in fondo un po’ te ne freghi.

Ma il problema è che, nonostante ti vediamo una sola volta l’anno, nonostante i rimproveri che ti abbia fatto, nonostante ci abbandoni sempre al nostro destino, non posso non ammettere di volerti bene. Chissà, forse è un trauma infantile, ma non posso smettere di sperare, come ogni anno, che ascolti le mie richieste e che un giorno le accoglierai davvero. Ed è per questo che non posso fare a meno di dire… grazie lo stesso Babbo Natale, se non ci sei riuscito, ci riuscirai la prossima volta.

 

Lo storno e la poiana

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Questa è la copertina del mio quinto romanzo dal titolo “LO STORNO E LA POIANA”. La novità, sperimentale, è che questo è un e-book, edito dalla Prospettiva Editrice di Civitavecchia. La Kappaeventi – ramo editoriale di Prospettiva – si occupa degli e-book e delle promozioni. La copertina è un dipinto a olio e rappresenta i cerchi della vita. L’ho dipinto io, per la cronaca. L’e-book. leggibile non solo sugli e-reader ma anche sullo stesso computer con il file pdf, ha il costo di soli € 4,00, e si può ordinare direttamente andando sul sito www.kappaeventi.com
Anche sul mio sito web www.sergioconsani.altervista.com potete avere delle informazioni. La cosa di cui mi raccomando, una volta comprato il file, è di non passarlo a nessuno, poiché la considererei vera pirateria. Oltretutto noi autori non guadagneremmo un centesimo! E poi, per il prezzo che ha questo mio e-book, non credo che valga la pena di darlo a chiunque. Invece potrebbe essere un regalo, perché no, un regalo interessante e poco costoso per chi ama la tecnologia e legge i suoi libri senza portarsi appresso una libreria!

La neve a Livorno…

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La neve a Livorno non si vede quasi mai. Mi ricordo quando ero bambino, negli anni 50, una vita fa, una mattina mi alzai nello strano silenzio che la neve regala quando cade. Mi affaccio alla finestra e vedo il giardino completamente imbiancato. Saranno stati almeno venti centimetri di neve. E per un bambino che vive a Livorno, che si nutre di mare e di pioggia, di salmastro e di vento, vedere la neve è come ricevere un regalo inaspettato. Pupazzi, pallate, slittini improvvisati, mani gelate, guance rosse e il naso che cola. Bellissimo. Lo so, per voi del Nord quando cade la neve è una cosa normale, neanche la guardate più, non vi soffermate ad ammirarne il candore e il modo in cui cade, silenziosa e discreta al suolo. Per voi la neve è come per noi il libeccio quando arriva impetuoso; per voi è normale come bere un bicchier d’acqua. Io invece la guardo cadere e sorrido, spiaccico il naso alla finestra, come quando ero piccolo. Per me, la neve a Livorno, è un avvenimento, un augurio che non mi aspettavo, un segno di purezza e di speranza. La guardo e penso a lei, sempre a lei, come se al mondo esistesse solo lei. E fino a che non tornerà guarderò la neve con un sorriso, e se la neve domani si scioglierà cercherò di immaginarla, e sorriderò di nuovo, nei miei pensieri, fino al momento in cui mi abbraccerà e mi dira che mi vuole bene tanto quanto gliene voglio io. Buon Natale a te, a Shaun, ai miei che non ci sono più e che mi mancano, a chi mi ha amato e chi mi ama ancora, Buon Natale ai miei amici, ai nemici, a chi mi odia e chi mi ripudia. Buon Natale a chi dorme sotto a un portico, a chi chiede l’elemosina, ai ragazzi di colore che vendono accendini, ai poveri, a chi adesso si trova su un barcone per raggiungere un mondo migliore. Buon Natale anche a me.

 

 

I miei primi 60 anni

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Porca miseria! Mi sono distratto un attimo e… ieri ho compiuto sessant’anni! Non me l’aspettavo… ero lì che pensavo ad altro, la mia mente vagava a quando mia figlia era piccola, giocavo insieme a lei e lei riponeva la sua fiducia in suo padre. Bei tempi. Bei tempi perché passavano gli anni, lei cresceva e neanche ce ne accorgevamo. Nel senso che il tempo era dilatato, tutto scorreva liscio come gocce d’olio in una padella. Ma la padella era bollente, l’olio s’è fritto! Bruciato! Okay… la famiglia si disgrega, la moglie diventa ex, e non c’è niente di più terribile che avere una moglie ex. Per tanti motivi. Che non elenco. Mia figlia cresce, mentre anche l’altro figlio più grande cresce, è un uomo ormai, indipendente, con la sua vita negli States. Io intanto scrivo e suono, faccio l’artista insomma. Niente di peggio che fare l’artista quando tieni famiglia! Ah… certo… che bellezza avere un artista in casa… wow… un musicista, uno scrittore… accidenti. Sì, ma i soldi? I soldi li porti a casa o no? Eh… sai… i miei progetti… ho seminato e… Sì! Ma quando raccogli? Non lo so… abbi pazienza. Eh… ma si sa: quando la fame (si fa per dire) entra dalla porta l’amore se ne va dalla finestra. Be’… così è stato. Good bye my love. E così, guardando indietro, quando volti di nuovo lo sguardo davanti, vedi una torta piena di candeline. Le conti: uno, due, dieci, undici, dodici, venti, venticinque, trentanove, quarantacinque… ehi! ehi! calma! Cinquantadue, Cinquantotto, oh! oh! siamo impazziti? Cinquantanove… sessanta! Cazzo! E va be’… che ci posso fare? Mica posso fermare il tempo. E allora, visto che (ma sì, facciamo un po’ di retorica) non me li sento, sono sano, vivo e vegeto, allora vaffanculo all’età! C’è ancora tempo per veder spuntare qualche germoglio da tutti quei semi seminati. Grazie per gli auguri che mi hai fatto, Shaun. Grazie per gli auguri che mi hai fatto, Silvia. tanto lo so che mi hai pensato.

E grazie ai miei allievi del corso di scrittura, perché ieri sera, durante la lezione, mi hanno fatto una bella sorpresa. Appena arrivati mi ero meravigliato che nessuno di loro mi avesse fatto gli auguri. Poi però, dopo un’ora, ecco arrivare tre mie “vecchie” allieve: Stefania, Marialaura e Tiziana. E tutti insieme hanno cominciato a cantarmi “tanti auguri”. Hanno portato pasticcini, castagnole, torta di mele, spumante e regalini. Come si fa a non volervi bene?