Vi regalo tre pagine del mio ultimo libro…

Tre pagine del mio romanzo “La figlia della Notte”. Il momento in cui Ida, la protagonista che vive nella seconda metà dell’Ottocento, partorisce e, quando si sveglia dopo essersi addormentata per la fatica del parto, non non trova più il bambino accanto a sé. Ubaldo… l’amante; Luisa… una sua amica, vera.

Si svegliò di soprassalto, sbarrando gli occhi e guardando la finestra attraverso la quale entrava la prima luce del mattino. Il sudore le colava lungo il collo e il suo corpo era scosso da brividi che non erano di freddo ma di terrore. Si ricordò subito che suo figlio non era più lì. Che qualcuno, Ubaldo, gliel’aveva portato via. Si vestì in fretta e nonostante si sentisse ancora debole non esitò ad uscire e recarsi fino al palazzo dove abitava Ubaldo. Era esausta, e le gambe, nel salire le scale, sembravano non sorreggerla più. Bussò con insistenza e rabbia alla porta, ma nessuno rispose. «Bastardo!» sibilò. Scese al piano di sotto e bussò alla porta di Luisa.

 «Ida!»

«Luisa…»

Luisa la sorresse prima che scivolasse per terra. «Ida… che cosa ti è successo? Stai male, sei pallida e non ti reggi in piedi. Entra, su…»

«No, no… devo aspettare Ubaldo.»

«Hai partorito…» le disse vedendo il ventre sgonfio.

«Sì… e hanno portato via mio figlio…»

«Cosa? E chi te l’avrebbe portato via?» chiese Luisa stupita e incredula.

«Non lo so… cioè… sì, lo so. È stato Ubaldo! Insieme a Elettra, la levatrice, ne sono sicura…»

Luisa l’abbracciò, stringendola a sé come una madre potrebbe fare con un figlio. La sentì smarrita, stremata.

«Vieni… ti preparo qualcosa di caldo. Ti farà bene.»

Ida lasciò che Luisa la spingesse delicatamente all’interno, ma il rumore di qualcuno che stava salendo le scale la fece tornare sui suoi passi. Si sporse a guardare di sotto e riconobbe Ubaldo.

«Devo andare!» sussurrò all’amica. «L’aspetto su. Noi ci vediamo più tardi…»

«Se hai bisogno di me, chiamami!» le rispose preoccupata Luisa, guardandola salire le scale di fretta. Ubaldo se l’aspettava di trovarla lì, vicino alla porta d’ingresso della sua abitazione. Ma fece finta di rimanere sorpreso.

«Ero passato da casa tua. Perché non sei rimasta a letto a riposare? Sei ancora troppo debole per camminare.»

Aprì la porta e lasciò che Ida entrasse prima di lui. I suoi modi cavallereschi facevano parte del suo repertorio, soprattutto in simili situazioni dove si preparava a dare sfoggio di tutta la sua ipocrisia e dell’arte della persuasione.

«Dov’è il mio bambino?» gli chiese digrignando i denti, pronta a non lasciarsi sopraffare. Ubaldo chinò il capo e socchiuse gli occhi come qualcuno che deve dare una brutta e inaspettata notizia.

«Devi essere forte, Ida… purtroppo…»

Ida gli si avventò contro, avvinghiandosi alla camicia e guardandolo dritto negli occhi con tutta la rabbia inespressa che aveva in corpo.

«Purtroppo che cosa? Se gli hai fatto del male ti ucciderò!»

Ubaldo lasciò che sfogasse il suo odio, facile da leggere in quell’espressione, permettendole di essere tenuto fermamente per la camicia.

«Ida… il bambino non ce l’ha fatta. Quando ti sei addormentata, Elettra si è accorta subito che c’era qualcosa che non andava. Respirava a fatica, il suo viso era divenuto livido e…»

«Sei un bastardo! Non è vero! Mio figlio non è morto!» gridò Ida tempestandolo di pugni sul petto.

«È così, te lo giuro!»

«E perché non mi avete svegliata? Perché non me lo avete fatto vedere?»

«Dormivi profondamente. E quando il bambino è spirato ho dato ordine a Elettra di portarlo via. Volevo risparmiarti un dolore inutile…»

«Non ci credo! Non credo ad una parola di quello che dici!» urlò la ragazza dandogli le spalle e portandosi le mani al volto, con disperazione. Ubaldo le mise una mano sulla spalla per tranquillizzarla, ma fu come aver caricato un cannone. Ida si scostò con furia, si avvicinò al tavolo nel mezzo della sala e afferrò una statuetta di bronzo che raffigurava un cavallo poggiato sulle zampe posteriori e quelle anteriori che scalciavano verso il cielo. Corse verso Ubaldo impugnando ciò che per lei era diventata un’arma e tentò di sferrare il primo colpo. Ubaldo si spostò appena in tempo. Si diresse velocemente verso il centro della stanza, sbattendo contro una sedia e facendola rovesciare sul pavimento. Per un istante perse l’equilibrio, inciampò sul bordo del tappeto e cadde rovinosamente per terra. Ida ne approfittò per scagliarsi di nuovo contro l’uomo traditore e bugiardo, rimasto disteso.

«Meriti solo di morire come un cane!» gli urlò in faccia pronta per sferrare il secondo colpo. Ubaldo fu più svelto di lei e le afferrò il braccio, costringendola a lasciare la presa. Il cavallo imbizzarrito cadde con un tonfo sordo sul tappeto. Ubaldo, mentre cercava di difendersi dalle unghie feline dell’amante, le mise le mani al collo e strinse con tutta la forza.

 

Vi regalo tre pagine del mio ultimo libro…ultima modifica: 2007-12-13T22:15:00+01:00da sergio0591
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Commenti

Vi regalo tre pagine del mio ultimo libro… — 1 commento

  1. … è una parte bellissima di questo romanzo, ma non quella che preferisco… ce ne sono altre, bellissime, come l’incontro tra Luisa e Emanuele, il primo sguardo tra Letizia e Lorenzo…
    … è un libro che mi ha trasportato in un’epoca bellissima della mia città, un periodo di metà ottocento su cui anch’io vorrei scrivere una storia vera, d’amore e di crudeltà che ho raccolto da una persona che ancora vive… spero un giorno di farcela a scrivere questa storia!
    Ciao. Ci risentiamo su questo blog!