Potrebbe essere così, chissà…

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Il brusio e i commenti della gente curiosa non cessarono fino all’arrivo dell’ambulanza. Caricarono il mio corpo su una lettiga e m’infilarono in fretta e furia sul mezzo di soccorso. La sirena riprese il suo urlo e l’ambulanza si allontanò dirigendosi verso l’ospedale.

All’interno vi erano due volontari e un medico, e quest’ultimo, con un cenno del capo, confermò la morte agli altri due.

Io li guardavo invece in attesa di un cenno che confermasse la possibilità che Sergio ce l’avrebbe fatta. Ma non arrivò.

Vedevo, sentivo, ma nessuno mi vedeva o mi sentiva, neanche quando urlai: «Fate qualcosa! Un massaggio cardiaco! Un defibrillatore! Una respirazione bocca a bocca!»

Le parole si perdevano nell’aria satura di disinfettanti e di morte che l’ambulanza ospitava perennemente, odori che neanche quando quel mezzo fosse andato un giorno a riposare in qualche centro di autodemolizione li avrebbe persi.

Vedevo, sentivo e percepivo gli odori come fino a pochi minuti prima, ma quando cercai di scorgere i lineamenti del mio corpo, non ci riuscii. Non potevo toccarmi, né specchiarmi in uno dei vetri posteriori dell’ambulanza. L’unica cosa che potevo vedere di me era quel corpo sdraiato sulla lettiga con attorno i due volontari e il medico. Ma era Sergio senza vita, immobile, livido in volto, colorato di morte. Il medico mise la mascherina dell’ossigeno sul mio volto.

«Credo sia del tutto inutile, ma proviamo lo stesso…»

Non ebbi sensazioni di panico, ma solamente di smarrimento. Se ero davvero morto e la mia anima aveva abbandonato quell’ormai inutile ammasso di carne, avrei dovuto trovare qualcuno che mi desse il benvenuto nel nuovo mondo, uno di quegli angeli che, gentili accompagnatori, mi avrebbero indicato la via da seguire e infondere quella serenità indispensabile per sopportare meglio il trapasso. In quasi tutti i film si vedevano scene simili, e io avevo sempre accettato l’idea che fosse così. Era una visione romantica della vita oltre il materiale, il corporeo, l’effimero tempo scandito dagli orologi. Il medico frugò nelle tasche di Sergio, dal portafoglio tirò fuori la patente di guida e dette un nome allo sconosciuto che si era trovato davanti. Poi trovò il cellulare e cercò nell’agenda un cognome simile a quello che aveva letto sulla patente. Lo trovò. Compose il numero. E nessuno rispose.

Potrebbe essere così, chissà…ultima modifica: 2010-10-27T12:24:00+02:00da sergio0591
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Commenti

Potrebbe essere così, chissà… — 9 commenti

  1. “No! No! Ho da fare, chiamatemi l’idraulico perchè domani verrà a sistemare la tubatura del bagno, chi lo riceverà? Quando li chiami poi, non si trovano mai…”
    Ecco l’Angelo che mi prende per mano e mi fà ritornare.
    La prossima volta saprò che la tubatura del bagno è una sciocchezza: quello per cui siamo stati chiamati a compiere, è stato compiuto.
    R. B.

  2. Hai perfettamente ragione, Paola… dare un senso alla vita che viviamo è un fine importante per scalare gli innumerevoli gradini che portano alla saggezza. Difficile raggiungerla, ma non impossibile. Ciao…

  3. Divertente! Un modo come un altro per esorcizzare ciò che terrorizza tutti quanti.
    Onestamente, nel mio continuare ad essere un’inguaribile ottomista, vivo questo racconto come una conferma all’esistenza di un dopo che, se da una parte ci allontana dalla vita vissuta, dall’altra ci avvicina a quella che andremo a vivere. Nessuno risponde al telefono e nessuno apre la porta…magari solo perchè nel nostro trasformarci diventiamo irriconoscibili ai primi ed ancora sconosciuti agli altri. Ma un dopo esiste per il personaggio, che continua a vedere e percepire.
    Ciò che credo importante, invece, è riuscire a dare un senso ad ogni vita che viviamo: concederci quel continuo rinascere e rinnovarci nei pensieri e nelle emozioni!

  4. Sei riuscito a mettere nero su bianco le paure più profonde di ognuno di noi, non solo trovarsi soli ad affrontare la morte, ma che nessuno risponda nel momento del bisogno…

  5. ciao sergio… un racconto che entra dentro l’anima…purtroppo nella mia in modo particolare…. mi riporta a immagini di qualcuno che voleva comunicare… nessuno l’ascoltava…non poteva…era a casa…aspettava un suono di campanello per aprire le braccia…il campanello suonò alle una di notte…qualcuno corse felice a spalancare una porta…vide una patente con un nome…capì prima di vedere la divisa nera…che la mascherina dell’ossigeno non era servita……
    ………………………………………..
    un abbraccio e buona serata
    :-))))
    dif

  6. Macrabetto… ma tutto quello che esce dalla nostra mente è salutare…
    Passando gli anni la morte assume un significato meno astratto, oggi giorno mi ci trovo a dialogare, spesso le dico che ho sempre tante cose belle da fare
    le più disparate
    di ogni genere
    poi mi rassereno e le dico…
    “Va bè… sei tu che comandi… tutti quelli che non ci sono più avevano ancora tante cose belle da fare…” Non devo essere egoista.
    La morte è una realtà.
    Una realtà è la vita che ci è stata prestata.
    Per questo, forse… lunedì invece di ripartire sotto l’acqua col mio motorino… ho deciso di stare a casa.
    Divano, copertina e la sera ero felice, perchè mi ero fatta un regalo!
    Ogni giorno penso che potrebbe essere l’ultimo, prima non ci pensavo… adesso sì… e allora vivo con uno spirito diverso…
    “Vidi una bara… vi guardai dentro… c’era il mio volto.
    Vidi il pianto di mia figlia, il dolore del mio compagno di una vita, tante lacrime erano state raccolte in un grande boquet…
    La sera, verso le otto il mio compagno guardava il telegiornale, mia figlia era al cellulare con l’amico del cuore…
    La vita continuava e il boquet iniziava ad asciugarsi…”
    La morte ci deve trovare vivi!
    Questo è il mio motto!
    Un Bacio grande!

  7. Racconto da brivido che ognuno cerca d’allontanare dalla propria immaginazione perchè si preferisce vivo ed in buona salute. Un sorriso ed un grazie,Sergio.
    Corinina

  8. Tanto per non essere pessimisti, come mi hai sempre insegnato:

    “… Il medico mise la mascherina dell’ossigeno sul mio volto…

    in quell’istante suonò il cellulare nella tasca della mia giacca, il medico lo tirò fuori e guardò il nome e cognome che compariva sul display… era simile a quello della mia patente e lo disse ai due volontari, poi rispose.
    Sentii una grande spinta che ricondusse la mia essenza dentro il corpo e aiutato dalla mascherina dell’ossigeno, ripresi a respirare…”