Sergio Consani

Quattro anni fa…

Bene, sono le diciotto e trenta, ho riportato mia figlia a casa della madre e sono in auto. Accendo la radio per sostituire il silenzio che è sceso improvvisamente attorno a me e dentro di me. La voce di mia figlia, le sue risate, le battute, i discorsi seri e semiseri sono spariti; la musica rende tutto ancora più triste. È da stamattina che non sono di buonumore. A volte capita di svegliarsi con un giramento di palle inspiegabile. Chissà, forse sono gli accumuli dei giorni passati, contro i quali hai combattuto, hai cercato di porre rimedio e adesso si riversano su di te, in maniera pesante. Guido cercando un pretesto per incazzarmi, cerco una ragione alla quale attribuire il mio disagio, ma non ci riesco. Viviamoci questo momento così com’è. Torno a casa. Entro, mi guardo intorno e mi sento come se fossi a casa di un altro. Mia figlia riempie le giornate, fa casino, è disordinata, ascolta musica mentre studia, mi salta addosso all’improvviso come una scimmia che vuole giocare, telefona alle amiche, mi chiede consigli, le traduco un sacco di cose in inglese, ci sediamo a tavola e mangiamo insieme, poi, alla fine del pranzo o della cena, si siede sulle mie ginocchia e parliamo. Quello di sedersi sulle mie ginocchia è un’abitudine che dura da quando era piccola. Adesso ha quindici anni. Il mio sogno è quello di vederla continuare fino a che le mie ginocchia reggono.  Sembra ci sia il vuoto in questo appartamento neanche troppo bello e dove durante il giorno filtra poca luce attraverso quelle finestre troppo alte e troppo piccole. Vorrei uscire di nuovo, subito. Prendere la macchina e andare via, da qualche parte. Ma dove? Dove posso andare stasera? Potrei chiamare Stefano e chiedergli se gli va di andare a mangiare una pizza insieme. Ma Stefano è sposato, ha una figlia, magari la moglie s’infastidisce e lui, per dire di sì a me, ci litiga. No, lasciamolo stare. Potrei chiamare Alessio. No, no, ha avuto una figlia da pochi mesi e la sua donna forse ha bisogno di lui. Ci sono tante cose da fare quando c’è un bambino piccolo in famiglia. Allora chiamo Pasquale. Stessi problemi. Antonio non mi direbbe di no, sono sicuro, ma stasera non mi va di chiamarlo e trasmettergli questa mia insofferenza. E’ troppo amico. Chiamo Monica. Lei è un’amica senza legami sentimentali, libera di muoversi come le pare e piace. Le telefono. Ha la febbre a trentanove. Mi siedo sul divano, nel silenzio. Forse è meglio che mi rassegni a rimanere qui, a casa mia, senza cercare distrazioni. Potrei uscire da solo, vado a mangiare qualcosa in una trattoria e poi a vedere un bel film al cinema. E al ristorante che faccio? Mi siedo e mentre mangio guardo gli altri che ridono e si divertono in compagnia? È triste vedere qualcuno da solo in un ristorante. Quando mi capita di vederne uno, lo guardo sempre con una curiosità morbosa. Lo studio, cerco di immaginare perché si trovi lì, a quel tavolo, senza amici o senza una donna. Io sono qui con Monica, o forse con Alessio e Pasquale e rido insieme a loro. Ma il mio sguardo va sempre lì, sull’uomo o sulla donna solitaria. Forse è in questa città per lavoro e non ha nessuno con il quale dividere un tavolo; forse vive qui ma ha litigato con la moglie e adesso mastica quei bocconi come se fossero tozzi di pane secco, che non vanno né su né giù; forse è solo, separato o divorziato, ha appena lasciato suo figlio a casa della madre e riempie la serata facendo finta di star bene in mezzo alla gente, e magari non voleva rimanere solo a casa per non sentirsi invadere dalla solitudine. Ha chiamato Mario, Antonio, Carla, Francesca… ma tutti avevano da fare, e allora ha deciso così. Come potrei fare io adesso. Ma non voglio che la gente pensi che sono triste quando mi vede in un ristorante da solo. Preferisco rimanere a casa mia. Va bene, allora mangio qualcosa, mi faccio un piatto di spaghetti al pomodoro e poi vado al cinema. C’è un cinema proprio a due passi da dove abito, così non prendo neanche la macchina. Afferro il giornale e do un’occhiata alla pagina dei cinema. Proiettano una delle solite commedie americane e un film d’azione, americano. Ma dove cazzo sono i film italiani? Ma perché mi devo sempre trovare davanti dei film americani? Non vado al cinema. Forse daranno qualche buon film in televisione. Intanto l’acqua bolle; butto giù un po’ di spaghetti, giro con il cucchiaio di legno e controllo che l’olio nel padellino non si bruci. Ho deciso per aglio, olio e peperoncino. Il vino è in tavola, non manca niente. Oddìo, mancherebbero un sacco di cose, ma va bene così. C’è silenzio in cucina; solo il rumore dell’acqua che bolle e qualche vociare lontano che proviene dall’esterno. Mi siedo e mangio. Intanto penso. Poi mi rendo conto che nei momenti di solitudine, non è tanto il fatto di essere soli, quanto quello di pensare. Se il cervello per qualche ora la smettesse di pensare, forse non ci sentiremmo così soli. Se accendi la radio la musica non ti aiuta a non pensare; forse la televisione ti distrae un po’ di più, ma solo se c’è qualcosa che t’interessa davvero. Siamo schiavi del pensiero, indissolubilmente legati alle parole non dette e che si formano come partorite da una sorgente d’acqua. I pensieri scorrono nel letto del fiume, avanzano senza ostacoli. Immagino una cascata e mi fermo ad ascoltarne il suono. Il suono incessante ed eterno sono i troppi pensieri che s’intrecciano, che si associano, che si scontrano. Come faccio a fermare quella cascata? Sono le dieci e trenta di sera. Hai visto? Bene o male il tempo è passato. Adesso, in seconda serata, posso vedere qualcosa d’interessante sul piccolo schermo amico. Fuori fa freddo, piove, non sarebbe stata comunque una bella serata per uscire. Sento il bip di un sms che è arrivato sul cellulare. È Alessio che mi dice: “Lo so che è tardi, ma che ne dici di una pizzetta alle undici e trenta?” Vaffanculo Alessio! Potevi pensarci un po’ prima? Così mi sarei risparmiato questa botta di solitudine! E’ tardi e fuori fa freddo, piove e sono già sotto le coperte al caldo. Rispondo all’sms. No, sarà per un’altra volta. Bene, non vado da nessuna parte stasera; però è bello sapere che comunque gli amici ci sono e che non ti dimenticano.

Quattro anni fa…ultima modifica: 2008-03-16T11:20:00+01:00da
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