L’arte non si discute?

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Pare che un certo Oliviero Rinaldi una mattina si sia svegliato e, colpito da raptus cattolico, si sia messo a disegnare ciò che poi, in bronzo, sarebbe diventata la statua dedicata a Wojtyla.

Non so, forse durante la notte ha avuto degli incubi, forse stava male, forse aveva litigato con la moglie, fatto sta che la sua fervida mente ha partorito ciò che i romani e i turisti di tutto il mondo vedono proprio di fronte alla Stazione Termini.

È alta cinque metri e mette un po’ di tristezza se la si guarda dal lato artistico. Ma l’arte non si discute, ognuno è libero di creare ciò che sente, e sarà poi la gente a valutare, a capire e criticare.

Nel bene e nel male l’artista esterna le proprie emozioni, anche se qualche volta il messaggio non viene recepito. Forse la statua sarà apprezzata nel tempo, magari tra cento anni, quando nuove generazioni riusciranno a capire le menti artistiche che attualmente sono “troppo avanti” per la nostra epoca. Ma a me non frega niente che qualcosa sia apprezzato fra un secolo, io, se vado a vedere un quadro, a sentire musica, se leggo un libro o guardo un film, voglio godere della creazione dell’artista ora. E se qualcosa non mi piace, pur se l’arte teoricamente non si discute e la piacevolezza è soggettiva, lo dico.

La statua a mio parere è orribile, caro Oliviero, e non te lo dico per puro spirito critico fine a se stesso, ma perché l’illusione del Papa che abbraccia il mondo o chiama a sé le anime perse, ritrovate o fedeli, è presuntuosa e mal riuscita. Ai romani non piace, a me non piace, ai turisti non piace. Piace solo ad Alemanno (ovvio, la difende) e a qualche altro servo delle istituzioni. Pura piaggeria.

Mi dava soggezione quando ho scattato qualche foto a quell’immenso agglomerato di bronzo, mi dava soggezione e io avrei voluto invece vivere una sensazione di pace, da scarso credente quale sono. Non ti offendere Oliviero, guarda, se un giorno leggerai un mio libro e ti farà schifo, dillo pure: ognuno è libero di dire la sua in questa tentennante democrazia, e facciamo presto, altrimenti ci cuciranno la bocca solo per aver criticato un’opera.

Tra l’altro, in questa foto che ho scattato, mi sembra il Duce. Mah!

Vertigo Cinema e Teatro: i nuovi corsi

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Ecco che sta per riaprirsi la stagione e siamo di nuovo pronti per i corsi che si svolgeranno al Vertigo in Via San Marco a Livorno. Per saperne di più potete visitare due siti: il primo, www.vertigocinema.altervista.org e il secondo, www.vertigoteatro.it che vi forniranno tutte le informazioni. La nuova sede del Vertigo promette (e manterrà) molte novità, tra cui spiccano aule spaziose e comode, proiettori, un grande palco, musica e spettacoli teatrali a non finire. Io insegnerò sceneggiatura cinematografica, Marco Conte recitazione e Luca Dal Canto regia e storia del cinema. Gli attori, se lo vorranno, potranno avere un book fotografico e una scheda sui nostri siti web, gli sceneggiatori avranno l’opportunità di studiare alcune tra le sceneggiature più brillanti proiettando i film scelti, e i registi avranno a disposizione diverse ore di riprese oltre alla studio della tecnica. Insomma, per tutti coloro che abitano a Livorno e nelle zone limitrofe, si presenta una buona opportunità di avvicinarsi al cinema e al teatro. Vi aspettiamo.

Autogol

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Troppo facile adesso sparare a zero sui calciatori e il loro ennesimo capriccio. Troppo scontato dire che sono viziati, spocchiosi, superficiali (salvo qualche rara eccezione).

Forse non si sono resi conto, data la loro giovane età, che lo sciopero è una cosa seria. D’altra parte lo sciopero è nella nostra Costituzione, e in pratica anche i nostri giocatori di calcio possono farlo.

Il problema è che questi ragazzi dovrebbero guardarsi un po’ di più in giro e vedere che le cose nel nostro Paese e nel mondo intero non vanno bene. Vergognarsi per essersi rifiutati di pagare una tassa è il minimo che dovrebbero fare, ma è pur vero che la solita logica del potere e del denaro li ha spinti a comportarsi in questo modo. Colpa anche delle società, quindi, poiché hanno iniziato loro – pagando alcuni giocatori (anni fa) con cifre iperboliche – a sconvolgere il mercato del calcio. Poi sono subentrate le televisioni, i diritti d’antenna, i soliti giri d’affari e… e adesso non ne usciamo più.

Non so come andrà a finire questa storia, se neanche la prossima domenica giocheranno, ma consiglierei vivamente ai tifosi che fanno a volte sacrifici per andare allo stadio, di starsene comodamente seduti in poltrona, o portare la famiglia in giro piuttosto che prendere freddo sulle gradinate.

Qualcuno ha detto che il vero motore del calcio sono i tifosi che vanno allo stadio: sono d’accordo. E allora fategli vedere chi siete. Scioperate voi. Forse servirà a poco, tanto le tv trasmetterebbero lo stesso le partite, ma sarebbe un segnale forte.

E poi, cari giocatori, lo sport non dovrebbe essere considerato un lavoro. La vostra carriera non è lunghissima, perciò, più o meno all’età di trenta-trentacinque anni potreste andare a lavorare come tutti. E poiché nel frattempo avrete messo da parte un bel po’ di soldi, potete inventarvi il lavoro che volete, a differenza di chi guadagna 1300 euro al mese, ha una moglie e un paio di figli, le bollette da pagare, il mutuo, le tasse, c’è da fare la spesa, ci sono gli imprevisti, le medicine, i libri, la scuola. Dico io… e voi, con un ingaggio che come minimo parte da 500.000 euro all’anno non volete pagare quella famosa tassa?

A zappare! Come ha detto una signora tifosa intervistata in tv.

Stavolta vi siete fatti davvero un autogol, e la gente non dimenticherà.

 

La creatività degli artisti di strada…

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La creatività non ha mai fine. I ragazzi che passano di lì, cioè gli stessi autori di queste meraviglie dell’impressionismo (impressionano davvero!), credo ne vadano fieri. La città è di tutti, ma loro non lo sanno, perché quando si deve dare sfogo agli impulsi della creatività si dimentica tutto. Tuffiamoci nei colori di quest’arte estemporanea, soffermiamoci a guardare, a cercare di capire il loro linguaggio, le loro parole. Eh… ma si sa, la vera arte non è mai compresa nel momento in cui la si crea, solo decenni, se non secoli dopo si capisce ciò che l’artista voleva comunicarci. Bravi, non fosse altro perché a casa forse vi sentite un po’ frustrati, e allora via con pennarelli e bombolette a “dipingere” portoni e muri dell’Ottocento. Sì, perché questa strada che ho fotografato, è una vecchia via di Livorno, nel centro della città, anzi, in pieno centro, in Via Sansoni. Oggi comincio da qui, ma non sono rari i luoghi pieni zeppi di “arte moderna”. Eppure ci sono telecamere ovunque in questa zona, proprio dove vivo io, ci sono banche, c’è la sinagoga, l’ufficio postale… insomma, un’area controllata. Ma già, ti pare che ora in un distretto di Polizia si mettono a vedere chi sono gli autori. E’ più facile per un vigile appioppare multe a volte anche al limite della sopportazione piuttosto che andare a caccia degli artisti e, tramite legge del taglione, fargli ripulire le strade a spese dei loro genitori. Bravi ragazzi, continuate così, esternate la vostra rabbia scrivendo sui muri invece di fare una vera rivoluzione creativa, con la parola, la comunicazione vera. La città, come tante altre, sta diventando un cimitero di parole e di segni incomprensibili.

La bellezza in evidenza

 

 

 

 

burqa, consani, blog, laportadeltirreno, sinistra, bersaniCi risiamo. Le leggi sul burqa e il niqab si inaspriscono. Diciamo la verità, vi parla uno che è di sinistra da quando venni alla luce e la mia prima parola non fu né babbo né mamma, bensì… Palmiro. Detto questo il fatto che una donna di altra religione passeggi per le strade delle nostre città, entri nei negozi, nelle banche o in qualsiasi altro posto pubblico con il volto coperto mi crea dei problemi.

Intanto, visti i tempi, sotto quel velo potrebbe esserci anche un uomo con intenzioni criminali, poi perché non si addice alla nostra cultura né alle nostre abitudini interagire con qualcuno senza volto.

La sinistra è contraria alla pena eventualmente inflitta a chi costringe la donna (ovviamente il marito e i suoi parenti) a coprirsi il volto, io invece no. Per una questione di rispetto e di etica che un qualsiasi cittadino del mondo che voglia venire in Italia deve seguire. Sono assolutamente contrario intanto al puro maschilismo atavico di certi popoli che ancor’oggi impone alle donne un comportamento che niente ha più a che vedere con il mondo di oggi, e soprattutto non ha niente a che spartire con il rispetto dovuto alle persone di sesso femminile. Se in ogni caso la loro religione dice questo, allora è bene che prima di varcare i confini di altri Paesi si rendano conto che le culture sono diverse e che devono essere rispettate tanto quanto noi rispettiamo le loro quando andiamo a fargli visita. Tra l’altro è risaputo che in quei Paesi dove ancora il burqa è considerato come parte integrante dell’abbigliamento femminile, se si viola qualche loro legge si rischia ben altro che un anno di prigione. Per cui, cari islamici (contro i quali non ho assolutamente niente), se volete venire a vivere da noi siete i benvenuti, ma non vi ostinate a seguire le vostre regole; semmai seguitele all’interno delle vostre case, ma se la legge italiana prevede che si debba andare in giro a viso scoperto (anche per motivi di sicurezza oltre che al rispetto per la donna), seguite la legge.

Ecco che non capisco quindi perché il PD si sia rivoltato contro una legge che ritengo giusta, soprattutto quando è l’uomo che considera ancora la donna come un oggetto o un semplice elemento della Terra che deve solo pulire, cucinare, fare i figli, assistere il marito e stare sempre zitta. Bersani svegliati, c’è ben altro da fare che contestare il giusto, l’etico e il democratico.

Dolore infinito

 

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A una settimana dal massacro dei ragazzi norvegesi, mi sento di fare una riflessione. In questi sette giorni passati, densi di atroce dolore per quelle famiglie che hanno perso i loro figli, ho provato a leggere gli occhi di quel giovane norvegese che, freddo e follemente lucido, ha catturato l’attenzione del mondo intero. Non sono riuscito a decifrare niente in quello sguardo così apparentemente normale, nessun segno di psicosi, niente di niente. I lineamenti del viso, regolari e classici di una razza nordica, sono quelli che potrebbero piacere a una ragazza. Biondo, alto, bel fisico. Nessuno, a vederlo, avrebbe potuto immaginarlo alle prese con mitra e pistole alla caccia di ragazzini inermi e pacifici. Forse un tipo brutto, dall’aria dimessa, basso, tarchiato e con una cicatrice sulla guancia avrebbe potuto suscitare timori e sospetti, perché si sa, pare che la bruttezza sia sinonimo di “male”. Almeno così dicono. Basta vedere le facce dei delinquenti schedati e, a conti fatti, la percentuale dei “brutti” è decisamente superiore a quella della classica faccia d’angelo. Ma questo è un altro discorso. Quindi, il norvegese assassino (di cui odio scrivere il nome), bello e aitante, ha messo in moto qualcosa che va al di là di ogni concezione umana. Qualcosa che lo ha reso famoso, qualcosa che spinge altre menti ad emularlo. Qualcosa che assomiglia tanto a un gioco di guerra sulla playstation. Giochi che a mio avviso andrebbero tolti dalla circolazione, e non per una questione di censura, ma di rispetto per l’essere umano. Il norvegese odiava altre razze, il norvegese era un assetato di morte, di morte del diverso, di cui si ha sempre paura. Borghezio ha asserito che le idee del giovane erano condivisibili. E qui, sulle parole di un idiota come questo politico incapace e pericoloso, stendo un velo pietoso, un velo possibilmente intriso di puzzolenti escrementi.

Un abbraccio a tutte le famiglie che dopo una settimana sono ancora lì a piangere i loro figli, tutti stretti in un dolore che non avrà mai fine. Per colpa di uno che non ha capito che la diversità degli altri è ciò che ci fa crescere, che ci fa imparare altre culture, modi di vedere le cose. E più ci si stringe in una abbraccio globale, più facile è ottenere quella maledetta pace che sembra non voler mai arrivare.

Traslochi dell’anima…

 

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Un ennesimo trasloco, durante il quale lasci sempre qualcosa e ti porti via qualcosa di nuovo. Ma non di materiale, bensì elementi che fanno parte dell’anima. Lasci un pezzo di vita e ne componi un altro tra quattro mura diverse, completamente nuove, che di vissuto hanno poco o niente e sei tu a dover far vivere quelle stanze.

Quattro finestre esposte a ovest, perciò i tramonti sono assicurati. Li amo i tramonti, perché mi mettono addosso una gioia tristissima. E mi crogiolo nei pensieri quando il sole divente rosso e incandescente, quando muore per l’ennesima e milionesima volta. E poi rinasce, ogni volta. Ecco perché divento triste quando vedo il sole che muore e poi gioisco perché so che l’indomani l’alba gli ridona la vita. È un po’ come me questo sole: muore e rinasce senza che nessuno se ne accorga. Nessuno ci fa caso, ma quando fra cinque miliardi di anni morirà davvero, allora tutti lo rimpiangeranno. Ma non ne avranno il tempo, perché tutti moriremo con lui.

Amo queste quattro mura, sin dal primo momento in cui ci ho messo piede. Sono in affitto, ma chissenefrega, tanto se avessi fatto un mutuo di vent’anni sarebbero stati i miei figli a finirlo di pagare. Perciò meglio così, io pago e non lascio strascichi.

Dalla quarta finestra, cioè quella della camera, vedo un pezzetto di mare. Una striscia, niente di che, ma guarda caso è la parte che amo di più, verso il Molo Novo, là dove i ricordi s’intrecciano con l’amore, le vibrazioni, le speranze.

È l’equilibrio che cerco, io dannato artista musicista scrittore e ora – mi vien da ridere – quasi imprenditore per un’avventura in cui mi sono buttato. Un’imprenditoria creativa, ci mancherebbe, ma a volte la certezza di avere uno stipendio ti regala quella sicurezza che in questa vita pare sia indispensabile. Ora che dovrei teoricamente andare in pensione (si fa per dire), inizio a lavorare come tutti gli esseri umani normali. Non è mai troppo tardi. Finché c’è vita c’è speranza. Mai dire mai nella vita…

Presentazione “Lo storno e la poiana”

 

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Venerdì 24 giugno, alle ore 18,30, presenterò il mio nuovo romanzo dal titolo “Lo storno e la poiana”, edito da Prospettivaeditrice.

Questa mia quinta opera, al contrario delle altre, non è un libro tradizionale, ma un e-book.

Parliamoci chiaro, l’ho detto mille volte in altre occasioni: la carta è imbattibile. E non mi metto qui retoricamente a dire che non si può sostituire la carta con un file, perdendo così il tatto e l’odore. Il mio è un esperimento, qualcosa che ha a che fare con il mercato dell’editoria. Io scrivo libri e, possibilmente, ci terrei anche a venderli, ma il monopolio di alcune case editrici non permette a me e a tanti altri scrittori, di avere una giusta promozione e distribuzione. La forza delle case editrici medio-piccole è niente al confronte di quelle che hanno il potere di fare il bello e il cattivo tempo. Perciò, visto che non sono figlio di un politico, che non ho ammazzato nessuno, che non spaccio droga, che non sono amico né di veline né di calciatori famosi e che quindi un editore di grido non pubblicherebbe mai un mio libro, allora devo cavarmela da solo, affidandomi a qualche editore serio e capace (difficilissimo trovarne uno, vi avverto) e puntando su un mercato che si sta aprendo lentamente: quello tecnologico. E quindi ben vengano gli e-reader se questi ci danno la possibilità di vendere i nostri libri. Ben venga l’e-book se questo poi costa meno di un libro e diventa anche audio-libro, come il mio. E pensandoci bene anche i non-vedenti possono usufruire di questa tecnologia. Il che non è male.

Insomma, il mio editore, Andrea Giannasi, mi ha appena portato al Salone del libro di Torino e ha intenzioni serie, a differenza di altri con i quali ho avute delle esperienze a dir poco penose.

La presentazione dell’e-book sarà alla Libreria Gaia Scienza di Livorno, in Via di Franco 14, alle 18,30 e con me ci saranno due attori di grande talento: Marco Conte e Paola Pasqui. Leggeranno alcuni dialoghi con quell’ironia che li contraddistigue e di cui i personaggi del mio romanzo hanno bisogno per sopravvivere. Senza l’ironia è la fine.

Un calcio nel culo

 

 

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Si concretizza una volta ancora nella mia mente l’idea che una buona percentuale degli esseri umani è da buttare. Tanto per prendere ad esempio l’ultima, gli scandali nel calcio. Signori, Bettarini, Doni e compagnia bella sono (fino a prova contraria) indagati – e alcuni già arrestati – per aver manipolato le sorti di alcune partite. Calcio scommesse. Cioè soldi. Possibile che l’Uomo – un certo tipo di uomo – per il denaro si debba sempre macchiare di colpe? Perché non si accontentano di ciò che un lavoro normale e onesto potrebbe dargli? C’è chi spaccia, chi ruba, chi traffica armi, e poi, alla fine, ricco e contornato da ogni bendiddio, è rispettato e temuto. Il fatto è che che c’è gente che stima questi uomini perché in fondo “si sono fatti da soli”. Complimenti a chi li stima. Io, senza mai aver avuto la voglia di scendere a compromessi, vado in giro con un’auto vecchia di dieci anni, mi arrabatto per arrivare alla fine del mese, spero ancora che, scrivendo libri, qualcuno li compri, mentre altri, attratti dal denaro facile, ammazzerebbero la madre pur di avere il potere. Mi vanto di essere così, anche se spesso alcuni non capiscono. Figli compresi. Voglio morire dignitosamente, ho sempre detto a me stesso, e questo è un punto d’arrivo. Mi vanto di essere onesto. Non è poco oggigiorno. Un calcio nel culo ai calciatori e a tutti quelli che pensano che la vita sia solo un cospicuo conto in banca, un Suv e una maglietta firmata.

Un saluto a Wouter

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E’ triste vedere un ragazzo così giovane riverso per terra, vicino alla morte, senza poter combattere. La morte è cieca, inesorabile. Non cattiva, è solo priva di occhi e di cuore. Va un po’ a casaccio, forse, spara nel mucchio. Oppure è legata al solito sottilissimo filo del destino? Chissà. Non lo sapremo mai se non un giorno, quando anche noi – augurandoci il più tardi possibile – da lei saremo catturati. Wouter Weylandt, uno sportivo, un ciclista, un giovane di belle speranze. E non c’è più. Livorno, all’arrivo della tappa, si è presentata con il groppo alla gola sul traguardo, ha accolto i corridori con un lungo, commosso e sentito applauso. Non mi dilungo in frasi retoriche, perciò saluto Wouter. Lo abbraccio. Gli sono vicino, così come sono vicino a tutti coloro che perdono la vita troppo presto, quasi senza ragione. Un mistero irrisolvibile.