Livorno addormentata…

Amo Livorno, perché qui sono nato, l’ho lasciata per tanto tempo, poi, qualche anno fa, dopo aver girato mezzo mondo e vissuto a Roma per più di trent’anni, sono tornato all’ovile. Sto cercando con tutte le mie forze di risvegliare questa città che sembra essersi assopita, quasi ipnotizzata da un qualcosa che non riesco ancora a decifrare bene. Agli inizi del Novecento Livorno era la culla dell’arte e della cultura, c’era un grande movimento di artisti, tutto era in grande fermento, la creatività si respirava in ogni ambiente. Pian piano la città è diventata simile a tante altre, a quelle con poca storia, a quelle che interessa solo seguire le indicazioni di una Tv commerciale che elargisce solo consigli per comprarsi un’auto nuova, come dimagrire, come apparire, come essere sempre alla moda. Insomma, è l’esatto contrario di quello che un uomo dovrebbe essere: se stesso, consapevole dell’essere e non dell’apparire. La colpa l’attribuisco anche ai nostri politici, a quelli che guidano con troppa superficialità questa città stanca, a questi politici troppo sicuri di essere sempre rieletti. Sì, perché Livorno è sempre stata rossa e mai si è messa in discussione lasciando che altri partiti provassero a fare qualcosa di più. Ve lo dice uno di sinistra. Tant’è che questa volta non voterò un Sindaco di sinistra. Di certo non ne voterò uno di Destra, ma un’alternativa la troverò. E’ bene mettere un po’ di paura a questi che si sentono sempre in una botte di ferro. Hai visto mai che troveremo un assessore alla cultura davvero attento alla cultura? Tremate gente, perché molti livornesi sentono il bisogno di cambiare, di tornare ad essere una città creativa, stracolma di artisti e di intellettuali, di pittori, scrittori, musicisti. Tramonto Terrazza Mascagni

A Vincenzo Cerami

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Vincenzo Cerami non c’è più. Se n’è andato dopo una lunga malattia, e la morte non risparmia nessuno, né artisti, né geni, né santi né eroi. L’ho conosciuto Vincenzo, e ne vado fiero. Abbiamo lavorato insieme durante le lunghe tourné con Nicola Piovani, portando in tutti i teatri spettacoli come “Il Signor Novecento”, “La cantata del Fiore e del Buffo”, e “Canti di scena”, in cui Vincenzo appariva sul palco, seduto vicino a un timpano e raccontava delle storie. Ho anche un libro che lui stesso mi ha regalato, con una dedica: “A Sergio, che dà ritmo alle mie parole”. Già, perché io suonavo la batteria. In più per me è stato – forse a sua insaputa – un maestro, perché io allora avevo già cominciato a scrivere qualcosa, una sceneggiatura, e a lui chiedevo consigli e suggerimenti. E lui pazientemente me li dava. È come aver fatto un corso di scrittura! Un tipo introverso Vincenzo, con lo sguardo basso, schivo, sempre vestito di scuro: un’anima in subbuglio, in continua evoluzione. Ma aveva anche un gran bel senso dell’umorismo, tagliente, immediato, con le battute accompagnate dal solito mezzo sorriso ironico. Tanti ricordi quindi in questo album della mia vita, orgoglioso di aver conosciuto gente di alto livello culturale e di aver imparato qualcosa che forse, quando un giorno la morte prenderà anche me, mi servirà per non morire con un senso di frustrazione. Addio Vincenzo.

Con la Cultura si DEVE mangiare

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La Cultura italiana, in Europa è all’ultimo posto. L’Istruzione al penultimo. Non c’è di che stare allegri. Ne sentivamo già l’odore acre di questo totale impoverimento, ed ora le statistiche ce lo confermano. Vivo a Livorno e conosco bene la mia città, una volta culla di artisti e letterati, ora alla mercé della superficialità e del menefreghismo. E tante altre città italiane somigliano alla mia, lo vedo. Al di là della situazione economica nazionale, la gente non legge, non va a teatro, non partecipa alle iniziative culturali, se non in pochi casi. Non esistono più locali di pregio dove poter suonare, non esiste più niente. E la colpa è anche di chi ci governa, dei Comuni, delle giunte. L’Assessore alla Cultura potrebbe spiegarmi le ragioni per cui tante cose non si fanno in città, e sicuramente addosserebbe la colpa alla mancanza di denaro. No, non è solo questo, è che spesso c’è gente che ha brillanti iniziative e la burocrazia gli tarpa le ali. Non c’è sostegno da parte delle istituzioni e questo per i cittadini è un male. Lo dico con fermezza: la prossima volta non voterò un Sindaco di sinistra. Perché da troppi anni (e lo dico davvero con il groppo alla gola) ciò che ritenevo abile nel maneggiare le sorti della città si è dimostrato incapace. E la Sinistra adesso ha bisogno di una lezione, deve aver paura di perdere la sua radicata presenza in una città dove mai hanno vinto altre forze. I cittadini sono allo sbando, le strade impercorribili, i teatri e i cinema sosituiti da parcheggi, i vigili che non sanno fare altro che multe, arroganti e antipatici. La gente ha bisogno di Cultura, perché è con questa si affrontano i problemi. Diamo lustro alle nostre città. Spegnete la Tv e uscite, andate a vedere mostre, presentazioni di libri, sentire musica. A volte si trovano ottimi posti dove non si spende un euro se si vuole imparare qualcosa.

Serata Jazz al Camaleonte con il JBJ Quartet

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Il Jazz è una parola che oggi fa paura. Pare. I locali, appena dici loro che fai jazz, ti guardano come se fossi un animale in via di estinzione. “Il jazz… ma, sai… qui da noi si fa un po’ di latin, blues, karaoke e ogni venerdì c’è il dj…”. Ecco, questa è la risposta. Il mio gruppo, il JBJ Quartet, è formato da me alla batteria, Anna Rubini, cantante, Max Fantolini al piano e Giulio Boschi al contrabbasso. Jazz caldo, diversi brani composti da noi, qualche arrangiamento di pezzi standard. Una musica che si può ascoltare, senza pregiudizi. D’accordo, il jazz non è facile da digerire se non hai un minimo di cultura musicale, ma non è poi così difficile se t’immergi nelle sonorità e cerchi, una volta ogni tanto, di capire. Il 1° febbraio saremo al Camaleonte, un locale nel quartiere Venezia, in via San Marco 7, a Livorno. Chiunque sia nei paraggi venga da noi.

Caro Babbo Natale…

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Caro Babbo Natale, non ho niente da chiederti, perché se qualcosa deve arrivare è inutile che te la chieda. Vorrei solo augurare un bel Natale ai miei figli, a Silvia e Shaun, che siano felici e che sussurrino una piccola preghiera all’Universo, ringraziando per il regalo che hanno avuto: la vita. E forse nella prossima esistenza sarò un padre migliore. Sotto il cappello ci sono io, invisibile agli occhi di tutti, ma ci sono. Vi voglio bene.

La notte…

 

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La notte non porta consiglio, ma dubbi, incertezze, a volte paure. Il buio confonde, porta i pensieri su una scala di grigi profondi indecifrabili. Le domande non hanno risposta e si intrecciano in una spirale di nebbia che non si dissolve mai. Il verso dei gabbiani instancabili nei loro voli notturni creano atmosfere hitchcockiane, il rumore di qualche auto lontana spezza un pensiero.

Perché? Quando? Faccio bene a fare così? Sì… no… non so… forse.

Ecco, la nebbia sale e attraversa il buio, il grigio e il nero si fondono come colori mischiati su una tavolozza, tutto si ferma, anche i gabbiani.

La notte è lunga, e il sonno non ne vuole sapere di portarsi via i colori che ormai avvolgono anche la luna che è fuggita via.

Il fruscio delle lenzuola, un leggero colpo di tosse per capire che sono vivo. Poi, all’improvviso, il torpore, e il sogno, puntuale, s’insinua nella mente.

C’è la mia vita in quei sogni, la mia vita perduta e malandata e quella sana e piena di verde e di rosso, di gioia e di sorrisi. Ma c’è sempre lei, è lei l’incontrastata protagonista, è lei che si rifiuta, che non parla, che non ama più. Eppure tra il passato acciaccato e il presente senza pesi sull’anima c’è qualcosa che non può non essere visto. C’è qualcosa di buono, mi pare di notare, c’è la possibilità che il mio spirito venga perdonato per ciò che di non positivo ho fatto. Me l’avete data voi quest’anima, signori miei, me l’avete dato voi il senso della libertà, qualcuno mi ha regalato la possibilità di sognare, e se poi i sogni non si avverano fa niente, è importante inseguirli.

Dunque inseguo te, fino alla morte, e se la morte mi sorprenderà, allora… allora non so… sarebbe meglio scambiarci due parole prima. Solo due parole. Mi bastano. Ma forse a te no.

Le nostre città…

 

livorno, sergio, consani, ciechi,

 

Livorno, la mia città, non è più quella di una volta, un po’ come una mezza stagione che non esiste più, tanto per buttarla in retorica. La critico perché la amo, perché ci sono nato, perché non riesce ad esprimere quello che vorrebbe. Di chi è la colpa? Facile mettere sul banco degli imputati i politici, ma non è solo colpa loro. Intanto perché siamo noi cittadini a votarli, e poi perché i cittadini dovrebbero essere abbastanza coscienti nell’ammettere che c’è anche il loro stesso zampino. Io, per natura, sono uno che fa casino, che s’inventa un progetto al giorno da proporre, che va a parlare con un assessore o un impiegato del Comune, che non si arrende mai, insomma. E pensare che Livorno, agli inizi del Novecento era una città che tutta Europa ci invidiava. Le Terme, la cultura, i pittori, i musicisti, il mare… decine e decine di iniziative che facevano belli i livornesi, di cui andavano fieri, intrisi sempre e costantemente di arte e cultura e spettacolo. Oggi si arranca, da anni ormai, e non solo per colpa della crisi. Il Sindaco e i suoi uomini non sono all’altezza di gestire questa città saldamente da più di mezzo secolo in mano alla sinistra, di cui anch’io faccio parte ma che in loro oggi non mi rispecchio. Assenti, o presenti solo in alcune manifestazioni, svogliati, stanchi, senza più idee e senza voglia di farci crescere culturalmente.

I muri sono sporchi e le buche per strada non si contano più, ma ogni tanto i nostri capoccioni se ne escono con qualcosa di positivo per far vedere che ci sono: è il caso delle guide per ciechi che corrono lungo i marciapiedi. Non so quanto è costato quel tratto di striscia bianca che copre sì e no 500 metri di lunghezza, sicuramente non si tratta di spiccioli. Ora io dico, che senso ha fare un brevissimo percorso per i non vedenti? O fai tutta la città o niente. Con tutto il rispetto per i cittadini che hanno questo grave handicap non concordo con queste scelte, semmai lotterei per fare un percorso lungo e che abbia un senso, dove i ciechi possono abbastanza tranquillamente camminare in lungo e in largo, partire da casa e raggiungere anche vari negozi. Non lo so, ditemi voi se sbaglio. E intanto gli scooteristi cadono per terra infilandosi in quelle pericolosissime buche, oppure i ciclisti, o le stesse persone che camminano.

E poi puliamoli quei muri orrendi, non lasciamo che certi ragazzi deturpino la città, multiamoli, facciamoglieli pulire a loro, con la legge del contrappasso: tu sporchi? Tu pulisci. A spese tue. Ovvio.

Un po’ più di senso civico ci serve, un po’ più di amore per le nostre città. E poi non stiamo sempre a lamentarci: agiamo, facciamo qualcosa, non ci addormentiamo.

Signore e signori siamo nella merda, ma…

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… ma abbiamo ancora una speranza visto che per adesso ce l’abbiamo al collo e possiamo respirare.

È bene essere però coscienti del fatto che non ci resta molto tempo, perché il liquame sale, sale impercettibilmente ma inesorabilmente, e tra un po’ ci faremo sommergere.

Il nostro Paese ha assolutamente bisogno di un sussulto, di una scossa che reintegri in noi stessi la voglia (e il dovere) di tornare ad essere un popolo con quella dignità che ci spetta. La criminalità imperversa, le organizzazioni malavitose crescono e si rafforzano, i furbi impegnati nella scalata al successo a tutti costi proliferano come batteri, i politici latitano… ma la forza di un popolo sta proprio nel dimostrare che noi siamo in numero maggiore rispetto ai sopracitati, che siamo più onesti e vogliosi di vedere il nostro Paese che cresce all’insegna del senso civico, della responsabilità, dell’altruismo e del bene della gente. Certo, sembra pura retorica la mia, parole che sfiorano l’utopia, ma è la volontà di rinascere, di ricostruire e di progredire che ci deve dare la certezza di un luogo in cui vivere migliore di quanto non lo sia stato negli ultimi anni.

Ogni periodo ha le sue sacrosante crisi, ogni Paese attraversa momenti di decadenza, ma noi italiani abbiamo una storia alle spalle ricca e pesante, abbiamo il dovere di dimostrare al mondo che la creatività, l’intelligenza e la volontà cha abbiamo sono il motore indistruttibile per ripartire. Svegliamoci, continuiamo a scendere in piazza, a dimostrare, a criticare, ad opporci a un potere ormai logoro. Mandiamo a casa tutti i politici delle nostre città che fino ad ora hanno dimostrato di non saper fare, di non essere all’altezza. La mia città, per esempio, una delle poche quasi totalmente rosse, è la dimostrazione che la nebbia in cui è avvolta non è altro che un’infinità di parole e promesse di politici sicuri delle loro poltrone, sicuri che solo i rossi possono vincere in questa città. Li ho sempre votati anch’io, perché io faccio parte della sinistra, di quella sinistra che ama il popolo, e non di quella che se ne frega. Livorno è diventata anarchica – e forse lo è sempre un po’ stata – ma anarchia non significa fare quello che ci pare senza guardare al prossimo: l’anarchia vera è maturità, intelligenza, rispetto per gli altri.

Comunque, alle prossime elezioni questi signori seduti da troppo tempo sulle loro poltrone li voglio mandare a casa, perché non hanno saputo cogliere i momenti, non hanno mai fatto qualcosa per alimentare il turismo o l’arte (se non pochissime cose), lasciano le strade con le buche, costruiscono dove non devono, abbandonano luoghi che un tempo erano l’orgoglio della città. Recuperano soldi solo con le multe, le famigerate multe per divieto di sosta, mentre sotto i loro occhi sfrecciano scooter smarmittati, ragazzi con il casco slacciato, ragazzi che sporcano i muri e mille altre cose molto più importanti.

Fate qualcosa signori delle giunte rosse, altrimenti sentirete presto vacillare tremendamente le vostre sedie. E soprattutto qualche volta ascoltate le idee dei cittadini, perché siamo noi che viviamo la città, la conosciamo e sappiamo quello che serve o che non serve.

Vita vissuta…

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Caro Andreotti

Ormai siamo quasi alla fine. La tua lunga vita sta per concludersi, e certo non si può dire che la tua vita sia stata vuota. Non so (e non me ne frega più di tanto) quante volte sei stato a capo del Governo, quante cariche istituzionali hai investito, quanto potere hai avuto. Hai subito un’infinità di processi, dai quali ne sei sempre uscito senza mai una condanna. Non sarò certo io, umile granello del popolo, a giudicarti, perché se non ti hanno mai condannato può darsi che tu sia stato sempre innocente. Ho i miei dubbi su questo, ma, come si dice, meglio un colpevole fuori dalla prigione se non hai prove, piuttosto che rischiare di condannare un innocente. In ogni caso quello che vorrei dirti è che spero che tu abbia riempito un lungo e segreto diario in tutti questi anni passati, così che alla tua morte tutti possano leggerlo. Sì, se hai da fare denunce faccelo sapere attraverso i tuoi scritti, perché se finora non hai avuto il coraggio (o meglio, la furbizia) di non rendere note cose che scandalizzerebbero – ne sono sicuro – mezzo mondo, almeno dopo la tua morte qualche segreto non sarà più un segreto, e forse verrebbero fuori colpevoli di certi grandi e dolorosi eventi che si sono succeduti nei decenni senza che mai ne sia stato scoperto l’autore.

Certo è che un diario così è difficile affidarlo a qualcuno. Tua moglie? Lei potrebbe affidarlo… affidarlo a chi? A un giudice? A un politico? A un giornalista? Mmh… no, troppo rischioso. Bisognerebbe che tua moglie lo leggesse in tv, durante una conferenza stampa, così che tutti gli italiani potrebbero ascoltare tutte le nefandezze che hai visto e in parte vissuto. Non c’è niente che ti pesa sull’anima? Non senti il bisogno, ora che stai per abbracciare la morte, di regalarci qualche verità? O pensi che Dio, tu che sei un fervido credente (?), ti possa perdonare ancora una volta?

Noi del popolo, quelli che non hanno il potere e quindi ci logoriamo, abbiamo il diritto di sapere le verità su chi ci ha governato, su chi ha commesso crimini e malefatte alla faccia di chi li ha votati, su chi pensava che noi fossimo sempre dei coglioni. Non siamo dei coglioni, noi del popolo, ci manca solo il potere del singolo, quello che può fare e disfare qualcosa nell’immediato, come un Presidente del Consiglio. Noi, dalla nostra parte, abbiamo il potere dell’unità, cioè che possiamo cambiare le sorti di un Paese se solo lo volessimo. L’unione fa la forza, no?

Insomma, per tornare a noi, caro Andreotti, se morirai così, senza dirci e svelarci niente, trasportato da un solenne carro funebre seguito da capi di Stato e da personaggi illustri che piangeranno (alcuni come veri coccodrilli) la tua morte, be’, se non sei innocente come hai sempre dimostrato di essere, dovrai affrontare un giudizio ben più tremendo del nostro. Perciò, che Dio ti giudichi nel modo più giusto, e se sei colpevole allora ti rimandi sulla Terra per vivere una nuova vita e pagare, come tutti, le tue cattive azioni.

Pochi, intanto, piangeranno per la tua scomparsa. Me compreso. Perché proprio pulito non credo che tu sia. E quel dito che ci mostri, così beffardo, sembra quasi che ci dica: “Vaffanculo, vi ho fregati, eh!”.

Schegge di anima imperfetta

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Non poteva che essere questo il titolo del mio sesto libro. Perché la consapevolezza della nostra imperfezione è direttamente proporzionale alla conoscenza e a quel minimo di saggezza che si acquisiscono nel percorso della nostra vita. E dunque questo non è un romanzo, né un saggio, né tantomeno un’autobiografia. E’, come dice il sottotitolo, “una lunga lettera d’amore”, dedicata ad una persona speciale, mia figlia. All’inizio ero partito con l’idea di scriverle una semplice lettera, poi, strada facendo, mi accorgevo che le mie parole potevano in qualche modo avvicinarsi al pensiero di molti padri, separati. E allora mi sono detto: perché non condividere questa mia lettera con chi, come me, soffre per la lontananza dei propri figli o che con loro ha un rapporto colmo di conflitti? Il mio editore è rimasto piacevolmente sorpreso da questo mio “tentativo di regalare emozioni”. Ma quello che più mi preme è che questo libro arrivi tra le mani di chi, insieme all’altro mio figlio, amo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Voglio, o meglio, desidero vedere la mia copertina ovunque, i libri in tutte le librerie, gli uomini che lo leggono e i figli che lo condividono. E questo lo dico non per vendere (tanto si sa, con la vendita dei libri ci si ricava ben poco), ma per far capire che il dolore, i sensi di colpa, le frustrazioni di noi separati ci accomunano, e che i nostri figli dovrebbero capire che un genitore perfetto è solamente un’illusione. L’amore però, nonostante tutto, nonostante i rifiuti, il rancore che un figlio può avere nei nostri confronti non finirà mai. Presenterò questo mio libro il 10 luglio a Livorno, all’interno della Chiesa degli Armeni, in via della Madonna 32, alle 21,30. Un grazie alla Libreria Belforte che organizza la presentazione di “Schegge di anima imperfetta”, edito da Prospettivaeditrice di Civitavecchia.