IL TRENO DEI DESIDERI

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Ogni volta che viaggio in treno lungo il percorso Roma-Livorno non prendo mai un Intercity o un Eurostar, ma un semplice R, Regionale. Non è per una questione di denaro; in fondo sarebbero solo una manciata di euro in più. È quel treno che mi ispira. Mi fa tenerezza con tutte le fermate che fa, i vagoni semivuoti. Ma ti rallegra con il paesaggio che riesci a vedere, anzi, a guardare, senza folli corse a 250 chilometri all’ora. Poi, come in questo istante, alle 15 di una bella giornata di metà marzo, il sole mi scalda attraverso il finestrino, e io sto qui, a scrivere mentre mi sento beato come una lucertola. E penso, e scrivo. E sogno. Penso a lei, che amo, e non vedo l’ora di stringerla, di baciarla, di coccolarla. L’amore è ancora a parecchi chilometri di distanza, ma gli alberi sfrecciano, i campi ora sono verde scuro ora più chiaro, le nuvole cambiano forma, pigramente, e il treno corre nella direzione giusta. Forse oggi non la vedrò, ma non ha importanza: il suo odore si fa sempre più forte, le nostre onde si accorciano, si avvicinano. Potrei d’altronde non vederla per giorni interi: non cambierebbe niente. L’amore sfida il tempo, e se non c’è tempo aspetto, e se aspetto ho tempo. Il tempo guarisce, lenisce, il tempo è poco. Il tempo sul treno non esiste: di esso poco m’importa. Il treno si ferma, riprende il viaggio, si ferma di nuovo, sale qualcuno, scende qualcun altro. Il treno è la vita che scorre, che ti porta avanti anche quando torni indietro. Il viaggio un giorno finirà. Un Regionale si spinge verso un binario morto, ma tutti quei vagoni hanno infinite storie da raccontare. Di odio, di sofferenze, di tragitti con le lacrime agli occhi, di sguardi lanciati da un posto all’altro, di risate di giovani e di vecchi, di ultras, di suore, di bambini annoiati, di gente malata, di militari, di pendolari, di amori finiti, di uomini soli, di donne sole. Di vita. Stazione di Livorno. Il tempo vola. E’ già domani.

 

UN GIORNO SPECIALE

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Buon compleanno Silvia. Ventun’anni e oggi sei un’adulta a tutti gli effetti. Puoi fare quello che vuoi e decidere della tua vita come vuoi. Sei libera, libera di volare o di rimanere attaccata alla terra. Puoi amare, fare figli, andartene ovunque, anche in paesi lontani, puoi rimanere dove sei nata e piantare i piedi ben saldi per terra. Puoi decidere cosa fare dei tuoi sentimenti, odiare, perdonare, rimandare, voler bene o essere indifferente. E intanto la vita va, scorre lenta e senza mai fermarsi, tuo padre e tua madre invecchiano e tu pensi, come tutti i figli, che noi siamo immortali. E invece non è così. E allora ti chiedo di lasciare andare la tua anima ed essere quello che sei e che senti di essere. Perdona e ama, lascia che l’orgoglio sia l’ultimo dei tuoi pensieri, pensa a chi è più sfortunato di te e trattalo bene. Non pensare che negli anni che faranno parte del tuo futuro, “possedere” sia la parola giusta per sopravvivere: è lo spirito che conta, l’amore senza confini. Una bella macchina può rompersi e la sua bellezza acceca gli idioti, mentre ciò che è dentro di noi non si rompe mai e dura per sempre. Ti auguro di essere felice e di passare il tuo ventunesimo compleanno con le persone che ami veramente. Io sono vicino a te, perché un padre non può mai essere lontano, neanche quando tutti pensano che ho dato meno di quel che dovevo. Di quel che dovevo, ma non di quel che potevo. Ti voglio bene. All’infinito.

PER TE

Era un uomo di altri tempi, umile, intelligente e soprattutto onesto. Non a caso non è mai diventato ricco nonostante in giovinezza ne avesse avuta la possibilità. Aveva rilevato un garage insieme a un suo amico, che poi, in seguito, amico non si sarebbe rilevato, approfittandosi della sua buona fede, falsificando fatture e incassando soldi che avrebbero dovuto far parte della società. Così, l’uomo onesto, si ritrovò con un bel pacco di cambiali e dovette cedere l’attività “all’amico”. Inutili le eventuali cause o denunce: non esistevano prove. Grande meccanico, collaudatore di auto, pilota in giovinezza con due partecipazioni alle famose Mille Miglia. Studi: quinta elementare. Orientamento politico: comunista. Divoratore di settimane enigmistiche, amante della lettura, dei viaggi e della squadra del Livorno. Nato il 19 settembre 1920, morto il 9 marzo 1987. Oggi. Mio padre. Severo e di poche parole, non mi ha mai dato uno schiaffo in vita sua, ma, da bambino o da ragazzo gli obbedivo. Mai detta una parola fuori posto a quell’uomo che voleva rispetto, mai detto “scemo”, “stupido”, “non capisci niente”: allora sì che forse sarebbe volata una bella sberla. E avrebbe fatto bene. Gli bastavano poche parole per far capire a me o a mia sorella come dovevano andare le cose in famiglia. Un uomo e un genitore di altri tempi, senza la paura di non essere amati nonostante la severità. L’unico mio cruccio è quello di non averlo salutato il giorno in cui, ottimista come sempre e sicuro che tutto sarebbe andato bene, si sottopose ad un intervento chirurgico. Arrivai all’ospedale di Scandicci, vicino Firenze, con un treno partito tristemente all’alba dalla stazione Termini di Roma. Erano le dieci del mattino e mi accolsero solo le lacrime fresche di mia madre e mia sorella. Avrei voluto semplicemente dirgli: ti voglio bene, babbo. Non feci in tempo, e mi sono portato addosso questo senso di colpa per molto tempo. Fu mio padre stesso a liberarmene, una notte, in un sogno. Mi abbracciò, mi sorrise e mi accarezzò la testa, senza dire una parola. Era il suo modo di perdonare.

Il cielo

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Basta sdraiarsi di sera su una spiaggia o su un prato e alzare gli occhi al cielo per capire. Capire che quel senso di smarrimento che ti assale è solo la consapevolezza della nostra microscopica presenza. Guardi le stelle e non puoi contarle, ti perdi nello spazio, tra miliardi di puntini luminosi che appaiono immobili e che immobili non sono. Le stelle sono in fermento continuo come le nostre anime, si modificano, si spengono, esplodono, si disintegrano per andarne a formare altre. Fissi il cielo scuro, le stelle penzolano nel buio e danno l’impressione che potresti raggiungerle anche con un semplice aereo. Ma sono lontane, lontanissime. Cerchi un punto di riferimento, ma è solo la luna che ti guida nello spazio che non ha confini. Non ha confini. Così come neanche l’infinitamente piccolo ne ha. E noi dove siamo? Tracci una linea retta immaginaria e cerchi di porre il tuo corpo su un punto. In quale punto? Siamo più verso il grande o il piccolo? Non ci sono segmenti cuciti tra loro, ma solo una linea retta, infinita. Ti perdi nel buio, navighi a vista tra le stelle senza un punto di arrivo e ti senti piccolo. Eppure, rispetto a un atomo ti senti grande, immenso, in grado di manipolare, di gestire, di offendere, di distruggere. Guardi il cielo e soffri improvvisamente di vertigini, come se ti trovassi sospeso su un filo e sotto di te c’è il vuoto. Lascio uscire la mia anima, volo in alto, vedo il mio corpo con la faccia rivolta verso il nulla diventare sempre più piccolo, ancora più in alto, la Terra è diventata una palla colorata, si allontana, si allontana, si confonde con altri pianeti e le stelle la inghiottiscono. Non la vedo più la Terra, è solo un puntino, come tanti altri. Continuo a volare in alto, o in basso, o di lato, chissà. Atterro non so dove, mi guardo intorno: c’è qualcuno laggiù, sdraiato per terra. Fissa il cielo e non vede altro che miliardi di stelle, puntini insignificanti.

Università per tutti

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La prima Università nel mondo è nata a Bologna, e di questo ne siamo orgogliosi. Diverse città in Italia hanno le loro Università, e perché non le altre? Impensabile che Roma non possa averne una, ma il problema è che molti studenti non romani, a costo di grandi sacrifici, devono recarsi nella Capitale per studiare. E sono studenti che provengono anche da lontano. Certo, per i ragazzi può essere un’esperienza di vita esaltante trascorrere qualche anno in una delle città più belle del mondo, ma qualche volta, anzi, spesso i genitori non possono permettersi di mantenere i figli agli studi. E non si parla solo di rette e di libri, ma anche di alloggio e cibo. I soliti profittatori fanno pagare anche 500 euro per una stanza da condividere e non esistono controlli per non lasciare mano libera a questi sfruttatori. Mi chiedo: perché non possiamo avere un’Università in ogni città? Livorno, dove vivo, ne avrebbe bisogno. È vero che Pisa, a pochi chilometri di distanza, ne ha una e non è così difficile da raggiungere, ma non vedo la ragione per cui anche Livorno non dovrebbe averla. Le Università portano movimento, giovani, interessi, scambi culturali, divertimento, solarità. I ragazzi che abitano in provincia raggiungerebbero la città senza troppi problemi e non dovrebbero cercare un alloggio per studiare, risparmiando così cifre notevoli. E poi Livorno ha il mare, potrebbe nascere un’Università del Mare, per coloro che vogliono specializzarsi in qualsiasi materia che abbia a che fare con questo elemento. Senza escludere naturalmente ogni altra Facoltà. Mia figlia per esempio frequenta l’Università a Roma, ma lei, fortunata, è nata lì. Spero si renda conto del privilegio che ha, perché a volte nella vita nascere a Roma o a Poggio Verde di Sotto fa la differenza. Una metropoli offre tutto o quasi, Poggio Verde di Sotto o di Sopra può offrire la bellezza della natura, ma nella realtà è abbandonata a se stessa, come ogni piccolo paese o piccola città di provincia. Le nostre città, tutte, hanno bisogno delle Università, elemento indispensabile per socializzare, aprire le menti, imparare senza sopportare sacrifici evitabili.

14 febbraio

imagesCAXRA7AV.jpgIn fondo è una data come tante altre, perché se due si amano è inutile dimostrarlo ancora una volta il 14 febbraio con il solito regalino che ingrassa le tasche dei commercianti. Ma sì, non stiamo a guardare queste cose e cerchiamo di essere romantici. Neanch’io mi sono mai sottratto a questa data, e allora, o che fossero fiori o regali più costosi, ho detto una volta di più “ti amo” a chi amavo accompagnandolo con un pensiero concreto. E neanche posso sottrarmi dal fare gli auguri a chi oggi si ama. Ma se non si parla solo di un uomo e una donna che sono innamorati ma di amore universale, allora ho qualcosa in più da aggiungere. Faccio gli auguri a Silvia, mia figlia, perché non esiste amore più grande e San Valentino glielo dedico, a lei e al suo ragazzo. E poi doppi auguri a mio figlio Shaun, lontano nel bel mezzo della neve del Michigan, perché oggi è il suo compleanno, e chi nasce in questo giorno ha qualcosa in più per dimostrare il proprio amore agli altri.

Mi oppongo!

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Mi oppongo ai troppi divieti che, giorno dopo giorno, spuntano fuori come funghi velenosi. Se hai un’auto euro 1 o euro 2 non puoi circolare in determinate zone. Me la compri tu una macchina nuova? Vietato fumare. E va be’, rispetto gli altri, ma in alcune città non si può fumare neanche nei parchi pubblici. Vietato dar da mangiare ai piccioni. E allora sparategli e toglieteli di torno. A Rimini è vietato farsi fare massaggi sulla spiaggia. Sulle spiagge della Sicilia è vietato fare castelli di sabbia, e, bambini, mi raccomando non fate le buche con la vostra paletta, potrebbero fare la multa ai vostri genitori. A Novara è vietato sostare nei parchi in più di tre persone. Ma dove siamo? In tempo di guerra? Ce n’è una a Trento molto divertente: vietato rubare i cartelli che indicano un divieto. Vietato aprire un ristorante etnico nel centro di Lucca. Mah! A Venezia è vietato raccogliere conchiglie. Ecco, questi sono alcuni esempi di divieti, alcuni irritanti, altri ancora più irritanti per la loro stupidità. In giro per l’Italia, i sindaci firmano ordinanze spesso ridicole. Se ne trovate qualcuna scrivetela nel commento. Proveremo a vietare qualche divieto idiota.

 

Il cuore di Haiti non batte più

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Stime non ufficiali parlano di 200.000 morti. Come se un’intera città grande come la mia perdesse all’improvviso tutti i suoi abitanti. Poveri, sotto dittatura, governati da inetti, senza risorse, gli haitiani non hanno più niente. O meglio, quel poco che avevano non lo hanno più. Diversi anni fa sono stato su quest’isola dei Caraibi bellissima, sempre stracolma di turisti, eppure con un’economia mai decollata. Colpa di chi li ha guidati, da sempre. Gente senza scrupoli, assetata solo di potere. Le case costruite senza criterio, capanne, strade impercorribili, fame, malattie. Eppure, chi governa, un pollo arrosto ce l’ha sempre avuto sulla sua tavola imbandita, e molto, molto di più. Un’ennesima vergogna di quella parte di esseri umani che al popolo non ci tiene, che se ne frega di costruire case solide, da far star bene una popolazione che con il solo turismo potrebbe campare. Mi vergogno di questa gente che sfrutta i propri simili. Mi vergogno profondamente. Lascio un pensiero a questa povera gente che sta soffrendo non solo per il trauma subito, ma anche per la perdita di chissà quante persone care. Tutti dovremmo pensare che la vita non dura sempre 90 anni, ma che è da quando nasci che cammini costantemente sul filo del rasoio.

Un post per le Poste

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Esordisco con un bel “non facciamo di tutta l’erba un fascio”, onde evitare che gli impiegati degli Uffici Postali poi se ne risentano e si difendano rispondendo con un “io non sono così”. Sicuramente questi signori e signore che ti urlano attraverso il vetro divisorio per farsi sentire non si comportano tutti allo stesso modo, ma una larga e inaccettabile percentuale usa modi a dir poco irritanti. Vale per loro come per i vigili urbani il concetto che quel poco di potere che hanno lo sfruttano sino in fondo ed oltre, per inasprire i cittadini già oltre il limite della sopportazione a causa di crisi economiche, problemi quotidiani, sfiducia nelle istituzioni e nei politici, mancanza di sicurezza per il futuro. Bene, stamattina, di fronte ai cinque sportelli dell’Ufficio Postale sotto casa mia (ma solo tre sportelli erano attivi), dopo più di mezz’ora di attesa, un giovane sui 35 anni, tranquillo e paziente come tutti gli altri, si avvicina ad uno sportello con il suo bel numerino. Mostra all’impiegata un foglio dell’Inps, dicendole che quello è il documento che prova l’effettuazione di un bonifico a suo nome da parte dell’Inps sul suo conto postale. Il giovane è disoccupato, sento dire, e quei soldi – circa mille euro – sono, o dovrebbero essere già sul conto. L’impiegata gli urla che quel foglio non è un documento valido, legale o cos’altro, e che non può riscuotere quel denaro. L’uomo, pazientemente, cerca di spiegarle che all’Inps gli hanno consegnato quel foglio spiegandogli che avrebbe potuto recarsi alle Poste per riscuotere i soldi. La donna, ancora sbraitando attraverso il muro di vetro, chiede agli altri impiegati cosa debba fare. Gli altri le rispondono che non si può fare niente. Il giovane, che comincia ad agitarsi, le spiega che quel foglio gliel’ha consegnato l’Inps direttamente, e che basterebbe vedere se il bonifico è arrivato. La donna gli risponde che se anche fosse arrivato il bonifico non potrebbe riscuotere lo stesso, visto che quel foglio non è valido. Il giovane comincia a perdere il lume, e le dice: “Ho quei soldi sul mio conto e non posso riscuoterli?”. “Proprio così!” gli risponde acida la donna. Lui inizia a urlare, le chiede di fare una telefonata all’Inps, di controllare, le mostra documenti, codice fiscale, tesserini vari. Niente da fare. Bene, a questo punto il giovane perde le staffe, esordisce con un “andate a cagare!”, ribadisce che la burocrazia che attanaglia le Poste è ridicola, deprimente, esasperante. Le parole di risposta della donna sono arroganti e ti verrebbe voglia di strozzarla. Ma c’è il muro di vetro. Forse è per quello che l’hanno eretto. Tutti guardano l’uomo che ormai minaccia di tornare l’indomani con la Polizia (si salvi chi può) e se ne esce con l’ultimo “andate a fare in culo!”, usando il verbo “fare” per intero e non tronco. Lo stile nel linguaggio a volte è indispensabile. L’ennesimo litigio in un Ufficio Postale. Solidarietà al giovane disoccupato e incazzato con la burocrazia e con chi abusa del potere.