Sulla solitudine…

L’argomento famiglia, nel post precedente, ha avuto il suo successo, come era prevedibile. E allora adesso vorrei che si parlasse della solitudine, quella che ti prende anche in mezzo agli amici, o ad una folla, o in casa con tua moglie o tuo marito, figli, genitori, gatti e cani e criceti. Quella solitudine che leggi negli occhi di un ragazzo che lava i vetri al semaforo, o di quell’uomo di colore che vende i suoi articoli “griffati” in Piazza Cavallotti. Non ci confondiamo con la nostalgia: è un’altra cosa. E la solitudine di chi a volte, come me, ti prende quando sei lì che scrivi un romanzo o una sceneggiatura, quando qualcosa ti attanaglia lo stomaco e ti senti improvvisamente perso, lontano da tutto, inevitabilmente solo. Solitudine dell’anima che cerca, cerca, cerca sempre. Ma poi, forse, alla fine trova.

Sulla solitudine…ultima modifica: 2008-02-15T12:36:00+01:00da sergio0591
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Commenti

Sulla solitudine… — 74 commenti

  1. Mi fa piacere che vi sia piaciuto il blog che ho proposto, il sito in realtà è nato come una chat ma poi è diventato un importante punto di scambio letterario, tanto che spero a giugno di poter conoscere gli autori, tutte persone che nella vita fanno altro, a Capalbio. L’autore di questo blog, tra l’altro scive in maniera egregia Sergio, e usa lo pseudonimo di “Ipotetico” prima di comunicarvi il sito devo chiedere per privacy……….perchè tra l’altro non sa (qui l’accento ci vuole?) che l’ho messo all’attenzione sul nostro personale punto di scambio………

  2. Un’immagine perfetta della solitudine, Cristiana. Dicci pure qual è il blog di cui parli, così che anche noi possiamo andare a dare un’occhiata.

  3. Bello Cristiana… talmente bello e “vero” che posso solo dirti grazie per averlo condiviso con noi. Quella che vi è descritta è (almeno per me) una sensazione conosciuta… la solitudine di chi è sempre e comunque altrove…

  4. Forse non c’entra niente col dibattito che state potando avanti ma volevo proporvi un blog che in qualche modo rivela solitudine che mi ha molto colpito, anche perchè lo trovo ben scritto. E’ su un sito di blog che uso frequentare e commentare:
    “La tipa”
    La tipa ha una trentina di anni. I suoi genitori sono entrambi morti, uccisi dall’alcool. Non si sa se ha un lavoro, nessuno sa come vive. Non è bella di viso, porta sempre gli stessi abiti, sa di sporco ma ha un corpo perfetto. Questo suo lasciarsi andare smentisce tutti quelli che dicono che è una puttana (perfetto rifugio di coloro che la vedono diversa). D’altronde è naturale che le puttane ci tengano ad essere presentabili no? Quando si siede al tavolo del bar i muratori con le felpe sporche di malta, gli albanesi con i pantaloni schizzati dalla vernice fresca, gli operai con la tuta consumata fanno a gara per offrirle da bere. La tipa non cura il suo aspetto, si mangia le unghie e quando ride mette in mostra la bocca con i denti sporchi e qualcuno già cariato. Lei beve birra e ogni tanto sparisce nel bagno. Ha una voce da maschio, è spesso sguaiata. Eppure ha due occhi chiari che commuovono. Anche quando qualcuno, senza essere rimproverato, le tocca un seno e magari lo stringe, lei ride ma i suoi occhi sembrano appartenere ad un’altra persona. Sono lontani dal suo “sembrare”. La barista scuote sempre la testa ma non si arrabbia mai con lei. Quasi che, essendo donna, sia in grado di capire la sua essenza nascosta. Eppure neanche un anno fa era diversa. Persino il suo viso asimettrico e dalla pelle grassa sembrava una parte integrante del suo corpo disegnato da qualche pittore del Rinascimento. Veniva insieme ad un uomo, un operaio argentino riservato e tranquillo, lento, gentile. Ci teneva a se stessa un anno fa. Poi lui è sparito e lei ha smesso di volersi bene. Sempre che ci sia stato un periodo della sua vita in cui si è voluta bene. Una volta scrissi un post dove dicevo che un uomo o una donna si vedono subito se amano o no. Se sono amati o meno. Si è vero, le persone che non amano e sono amate si lasciano andare improvvisamente. Diventano poi col tempo termini di riferimento per tutti coloro che non hanno compassione degli altri, per coprire i propri fallimenti. Toccare per qualche secondo un seno in cambio di una birra diventa normale sia per la vittima sia per chi paga. Lei non sembra avere a prima vista null’altro da offrire. Lui non si accorge che tocca qualcosa di inanimato, di inutile. Nessuno ha ancora capito che varrebbe la pena pagare una birra per ogni sguardo pulito e accorato dei suoi occhi chiari. Chissà quante donne così girano per i bar del mondo. E quanti uomini ciechi che non sanno che per dare vita ad un seno occorrono due occhi dolci che ti guardano, con passione e con amore, e ti dicono “fallo”.
    Proprio bello no?

  5. Di solito commettere errori non dà felicità: stavolta invece , signora Paola, lo sono come una Pasqua! Che mi sia permesso lanciarle un segno di affètto e l’augurio che le sue favole si rinzeppino di Fate vincenti e battagliere – e buona giornata!

  6. infatti

    finisce così.

    è la ricerca estrema dell’uomo che arriva a dire
    nessun uomo è un’isola.

    ma è il finale.
    🙂

  7. Va bene, A., però poi, una volta che ho scoperto me stesso (almeno un po’), voglio qualcuno accanto, altrimenti mi sentirò ancora più solo.

  8. society you’re a crazy breed
    i hope you’re not lonely
    without me..

    eddie vedder.

    soli.
    per scoprire
    davvero se stessi.

  9. Fuss, il fatto che tu abbia dovuto spiegarmi la faccenda del cuculo offende la TUA intelligenza, scusa. A volte son duro di menta.
    E ho l’attenuante che oggi non ho tempo.
    Ora esco, a risentirci sull’umorismo.
    Libri ne ho letti in gioventù, i belli li ho riletti spesso, per questo li ricordo.
    Ma ne ho letti semore troppo pochi, dai retta.

  10. Mentre il Sergio attacca sul fronte occidentale attraverso una cosa che più controversa, sconosciuta, pericolosa, dolce come il cianuro e ammara come un bacio perugina non si può (e chi più ne ha più ne metta): se ne leggeranno delle belle, astuto e impietoso Sergio, che vuoi ignudare dalla foglia di fico anche questa statua – domando a Nautilus, approfittando della calma prima della tempesta evocata: ma te, Nautilus, i libri li mangi anche a colazione? Ci fai il bagno tutti i giorni? Quando parli e li citi mi spaventi! Sei, boia cane, un pozzo senza fondo: ti invidio!
    L’avevo previsto: dalla polvere della zuffa, l’acqua fresca è più fresca.
    Non posso chiamarti Patroclo e invitarti nella tenda perché, a parte una imbarazzante esternazione da parte di uno a caso di noi due (i ganzi lo chiamano outing), Ettore ti dovrebbe fare tanto male a copione, e non va bene.
    Mi permetti di far cadere per caso, anche se contro i sacri canoni, qualcosa sull’uovo? Di solito, il cuculo, l’uovo lo molla a tradimento in casa altrui e il cuculino diventa, da affittuario, padrone – cacciando tutti gli altri. Basta!
    Ti saluto e parto a far la punta al lapis, che ce ne sarà bisogno.
    Spero tu ami come io amo, dolorosamente, quel bastardo di umorismo. Poi, come se non bastasse, c’è anche quello inglese – che più cattivo di così, si muore. Buona serata e appunta le matite! Fuss

  11. Dunque sei (anche) poeta, questo s’era capito anche in assenza di poesie fatte e finite.
    Ti dirò: diffido grandemente dei poeti, come ho già avuto modo di dire, ma questa di Achab, sine piaggerie, m’è piaciuta.
    L’altra me ne sfugge il senso, per ora.
    T’avevo detto che capisco la metà di quel che scrivi. Sono in perfetta media.
    Quanto a quel che dice Enrica di te: io mica l’ascolto, la gente la giudico col mio metro, quale se no?

  12. Ahhh FUSS sei tornato!
    Coincidenza ha voluto che tornato a casa aprissi il PC due volte: cinque minuti fa non c’eri ora ci sei!
    Ti pensavo come Achille nella sua tenda: che dovremo fare per interrompere il suo fiero corruccio?
    QUA LA MANO! certo, ecco la risposta giusta!
    Ti voglio però dire com’è nato quest’enorme equivoco: intanto è colpa tua (!), sei te che m’hai nominato “finto nemico”!
    A me è piaciuto subito il ruolo da te affidatomi e non mi son fatto pregare! Son stato troppo bravo, m’hai preso per un nemico vero!
    Ma quando mai carissimo.
    Però, ora dovrei sentirmi offeso io: te hai scritto a Sergio “Pensa a me come l’opposto di quel che sembro”
    ecco, per te vuoi questo privilegio e lo neghi agli altri?
    Va bene, tutto chiarito, siamo seri.
    Eh il Pequod, cosa mi rammenti, mi ricordo sempre questa frase:
    -“Ohè ohè della nave! Questo è il Pequod che parte per il giro del mondo.” E ci tuffammo, ciechi come il destino, nell’Atlantico selvaggio.-
    E questo è Herman Melville signori, mica s…
    Veramente ho unito due frasi separate, ma mi piace così.
    Mi pare che Arcais abbia detto bene, ma il potere delle dimensione cui appartiene il papa è ben altro, son d’accordo.

  13. Esco dalla finestra per rientrare dalla porta, o viceversa.
    Scurreggina fu quasi onomatopeico, a simulare un rumore nel silenzio – non il silenzio di un’assetata pugnalata. Parlai conciliante anche di anatre e anguille, ma le licenze di caccia e pesca dovevano essere scadute.
    Mi domando perché Nautilus voglia distruggere un ruzzino che gli era venuto così bene: al mio si è rotta la molla e andrà a far compagnia a tutti i suoi colleghi a molla rotta nel cimitero dei giocattoli, del quale ognuno di noi conosce, io credo, l’indirizzo. Certo è che, specie nell’ultima petizione, ha fatto di tutto perché il suo scherzo somigliasse il più possibile ad un defenestramento: se io sono fascista, tu magari un pochino ‘zitti tutti’ lo sei.
    Ho identificato il mio avversario: si chiama Fuss. Ed allora lo elimino senza pietà.
    Dai, con gli inginocchiatoi, caro Nautilus! A te piacciono giocattoli costruiti così, confessa – mi dispiace, perché potevamo essere simpatici e interessanti interlocutori: Ma, sai com’è: c’est la vie!
    E poi io, che non amo i condizionali, figurati un po’ se fo inginocchiare qualcuno: piuttosto, con un editto tremendo, faccio prima ingessare le articolazioni a tutto il popolo, ribelle o pio che sia, e vieto a mano armata e manganello qualsiasi tipo di genuflessione, sia pubblica che privata, in nome della dignità inviolabile. Oltretutto mi ci vorrebbe un ambientino alla D’Annunzio, pieno di Duse, d’aeroplanini, bende all’occhio e di almeno un migliaio di cuscini di raso, buttati a finto caso d’architetto o d’artista qua e là.
    Mi sembra di autoraccontarmi la datata barzelletta di quello infilzato dalla lancia: ti fa male? No, solo quando rido!
    Ciao, Nautilus – nessun rancore! Il colpevole sono io, che dovrei almeno avere imparato a dove metto i piedi e a non scivolare in questi minimi, ma sempre dolorosi equivoci: e non mi appartiene il diritto di rendere scontenti i miei compagni di viaggio.
    Per te, Nautilus, in segno di conciliazione scrivo questa cosa; anzi, due:

    1. c u c u l o
    Solo un cuculo pazzo può sognare
    un nido
    dove posare e schiudere figlio
    un uovo rubato.

    2.navigando il Pequod
    Quando Livorno mi si sveglia addosso,
    Moby Dick a vapore
    che s’immerge
    dentro,
    Achab mi sveglio e scuoto
    lontano
    il resto del mondo.

    L’insostituibile Enrica esagera affettuosamente un po’, quando racconta di me.

    @@@Questo l’avevo già scritto: ho riletto Nautilus e dico, senza piaggerie, ci si rilegge – qua la mano! Solo alle pietre, essendo magazzini di memoria, e vietato il piacere di cambiare idea (e béccati anche questa!).
    Fuss(e) che Fuss(e) la vorta bona?
    Ieri sera, all’Infedele (che non so se vi…, oppure no) il D’Arcais ha detto qualcosa come: Ratzy è terrificato dalla dimensione della mia realtà; ed io dalla Sua. Sembra quasi una ‘iccasse’: ma che nessuno si faccia ingannare!

  14. FUSS dì la verità, te mi vuoi spaventare!
    Te vuoi che io mi metta in ginocchio a pregarti:”Non andare via-per te inventerò-le parole pazze-che tu capirai…”
    Purtroppo non sono versi miei ma li prendo in prestito per convincerti a restare… ma non mi dire che mi avevi preso sul serio!!
    Ma che storie son queste di mannaie e misericordie! L’immagine è bella ma irreale!
    Io non voglio il tuo sangue, voglio che continui!
    Mi fai l’offeso? Ora dovrò anche chiedere scusa a uno che m’ha chiamato saccente? Ora non sono libero di chiamarti rompicoglioni? (col massimo del rispetto s’intende).
    Dài amico, io mi son fidato di te perfino quando mi trattavi male, perchè individuavo un’anima non vile e te non ti fidi di me?
    Ma te guarda questo, mi dà dell’emettitore di scureggine senza (naturalmente) ch’io mi risenta e poi s’offende per le mie bischeraggini: lui può e io no!
    Ma sei un ber fascista, come si dice a Livorno!

    Caro Fuss davvero, io credevo si capisse lontano un miglio che scherzavo e che mi faceva molto piacere quel che avevi scritto di me, magari non si capiva bene, sarò stato perfino più ermetico di te, ma quello era il senso.
    Non vorrai privarci dei tuoi concioni apocalittici, proprio ora che cominciavo a capirci qualcosa!
    Ciao per ora, m’hai fatto far tardi. E mi lasci anche col dubbio d’sser stato preso per il c., da te questo e altro.

  15. Ed al solito le donne non di intromettono. Consumano fogli ed esistenze ma davanti ad una diatriba, piccola, ma concettualmente potente si arrendono e tacciono. I bimbi da accudire, la cena, l’amico o anche solo se stesse sa rimirare. Il lavoro domani, gli impegni “mondani”, la caa d spolverare ed il giardino da curare. La pedicure, la manicure, il maito soddisfatto ed il letto rifatto.
    Il bagno pulito, il bucato stirato. Non si fa tardi al pc… ma via, sù, un po’ di tv

  16. Sergio, nulla di tutto quello che immagini su Fuss. Io non ho licenza di rivelare nulla che non voglia lui stesso …ci manherebbe. Solo non è così davvero.
    Quel che vorrà dire di sè lo dirà.
    Posso solo dire che è un amico di Piero da sempre e mio da quano ho conosciuto Piero. Le sue glorie in tanti campi (fotogrfia, giornalismo, spettacolo) le racconterà se vorrà. La sua gloria più grande è esistere in umiltà intelligente e scontrosa al punto da farsi quasi intelleggibile. Ma questo argomento qui non è trattabile.
    Evidentemente anche io ho la patente di rompiglioni e Nautilus me ne ha dato il primo bollino.
    Mi spiace per gli occhi inumiditi. O anzi non me ne dispiace affatto, una briciola di saggezza dai nostri “vecchi” mettiamola così, vuoi?
    Stefania il mesaggio è stato stampato e riportato con grande soddisfazione e , credi, tutti i ricordi son tornati. Per lui un caso degno di nota e preso a cuore. Per voi non so valutare, io che son meno di nulla.

  17. Scusate, ma da buon rompi brevettato ho dimenticato, Alzheimer o ad arte, di aggiungere a cultura-fai-da-te l’indispensabile: on-the-road.

  18. Grazie signor Sergio: mangio fagioli come ogni buon peon, cultura fai-da-te, suore, preti, religioni e dottrine: zero; non di aristocratica ricercatezza si tratta, ma di una propria sintassi espressiva – spiacente che appaia il contrario.
    Saluto la tua persona, che non penso rovinata, né da sé e né da altri – se non altro per il fatto che tu stesso lo pensi; e poi, anche se ciò regalerà alla razionalità di Nautilus un’altra freccia per dire che voglio cadere in piedi, mi allontanano per non disturbare la vostra guadagnata armonia.

  19. Santiddio Fuss… a Roma dicono “parla come magni!”. Ora io non so cosa “magni”, forse caviale rosso poggiato su fettine di pane leggermente abbrustolito con sopra una leccatina di burro il tutto accompagnato da un ottimo champagne, ma se ti capitasse mai di farti un bel piatto di spaghetti con del pomodoro fresco e basilico, forse ti usciranno parole più comprensibili e inutilmente ricercate. Ma cosa ci vuoi dimostrare? Che hai studiato? Forse dalle suore? Sai… loro ne hanno rovinati molti… non me, per fortuna, io mi sono rovinato da solo.

  20. Mentre levo il tappo alla vasca a livello per non disturbare, accompagno di corsa un cavallo fuori da Olimpia a liberare la sua voglia di correre e ringrazio Nautilus per avere usato la mannaia invece di una sottile “misericordia” affilata, che beve più sangue. RAZIONALMENTE mi allontano fuori dal cerchio delle vostre voci a cercare una irrazionale e per me più emotiva solitudine.
    Per la qualifica di rompicoglioni, possedevo già la patente.

  21. No no Sergio, dici benissimo ma te quello lì lo devi buttà fòri, ‘un si può perde tempo dietro alle su’ cosiddette filosofaggini.

    Cinemagora!
    “A volte penso che la solitudine non mi abbia mai lasciato.”
    Illuminante! E’ proprio così semplice semplice.
    Addio addio me ne vo.

  22. A volte ho bisogno della solitudine, anche se so già che mi fa venire un nodo allo stomaco e mi lascia sfiorare una sensazione di disperazione. Nonostante ciò, aspetto ugualmente il suo venire in sordina. Passa dai miei pensieri e confonde i desideri con le rinunce. A volte penso che la solitudine non mi abbia mai lasciato.

  23. Mi guardo bene da “censurare” Fuss o chiunque entri in questo blog. Sempre che non sia davvero volgare o cose del genere. Per il resto ognuno è LIBERO di dire quello che vuole. E quando parlo di alzare il livello intendo di dire cose che possono interessare tutti e che quando un blogger nuovo entra non debba dire… questo è un gruppetto di amici che chatta! Certo è che se si mettessero a leggere tutti i commenti, a parte alcuni totalmente inutili, capirebbero che siamo anche persone intelligenti e sensibili. Fuss compreso, eh. Mica ce l’ho con lui! Anzi. Però è vero che se si facesse capire un po’ meglio perderemmo meno tempo, senza andare a sfogliare libri di filosofia!

  24. Cara Enrica, ora è toccato a te farmi inumidire gli occhi: a mio padre immobilizzato e poco lucido dopo un ictus chiesi un po’ esasperato se si rendeva conto e se era contento delle sue condizioni e lui mi rispose:”Vivi si sta bene”.
    Più chiaro di così.

  25. Lo sapevo che avevo sbagliato blog, stavo tanto bene su lipperatura!
    Qui c’è Cristiana che mi manda per Muccino, Fuss-deghè che mi dà del saccente poi rigirato in dotto ma siamo lì, in ultimo arriva Sergio che m’intima d’alzà il livello!
    Caro Sergio ma cosa vuoi alzare, il Fuss-lì magari ce la fa, c’ha le pompe poetiche lui, ma io sono già arrivato al plafond, di più nin zò.
    A proposito di Fuss-comesichiama: Sergio, volevo spezzare una lancia in suo favore in nome della libertà di sparare cazzate, ma ora lo leggo e vedo ch’è un incorreggibile rompicoglioni, quindi per me se lo vuoi sbatter fuori definitivamente non mi par vero.

    E ora a noi Fuss-chi? Non ti sopravvalutare, ho capito si è no il 45% di quel che scrivi e solo con tre riletture; a te invece parrà d’esser chiaro e cristallino: errore fondamentale.
    Gli altri errori fondamentali te li dirò un’ altra volta.
    Vedo però che non hai commesso quello più grave di tutti: hai capito subito che quando dicevo che t’ho simpati’o (nonostante l’offesa di “saccente” ch’è di quelle da lavare col sangue) e che scherzavo, beh, ero davvero sincero.
    Lì per lì t’avrei appunto ucciso, poi grazie anche a un raro incontro galante il mio umore è migliorato e ho deciso d’esser magnanimo come i personaggi di “Novantatrè”. Vedo che te lo sai meritare.
    E ora alziamo il livello, o più probabilmente lo abbassiamo, che Sergio mi perdoni:
    “I cavalli frustati a correre il senso unico dell’ippodromo non sono felici dei loro sudati trionfi.”
    Questa l’ho riletta anche 4 volte perché era in fondo e poi perché davvero bella (a proposito di poesia).
    Epperò è una cazzata, RAZIONALMENTE parlando! ‘a Fussiccomeimmobile, i cavalli da corsa e i levrieri son COSTRUITI per correre! Se non lo fanno, allora sì sono infelici! Son convinto che una bella corsa competitiva in cui non farsi superare da nessuno li esalti.
    Certo se li droghi o li picchi o li sforzi oltre le loro possibilità allora hai ragione te, che d’altra parte ti sei parato il q dicendo “cavalli frustati”. Vuoi cascare sempre in piedi eh? Ma se son cavalli masochisti?
    E con questa domanda esistenziale ti lascio, c’ho da fà non poco.
    (Sospettavo che il livello se possibile sarebbe peggiorato: ma c’ho l’alibi: è colpa di FG).

  26. Dimenticavo ma non troppo: ringrazio Nautilus per il suo Fuss che mi piace tanto, suona bene e del quale mi sono appropriato – corto abbastanza e che sembra un incrocio tra un comando inequivocabile dato ad un pastore tedesco verace di Germania e il far le fusa felice di un imprevedibile, affettuoso e schivo gattone domestico. Fuss

  27. “Per La Vita”, cara Enrica (e questa cosa la scrivo qui, scolpita alla pioggia e non privata), é misteriosa, compiuta e solidamente indefinibile quanto il “M’Illumino D’Immenso” regalato da un Ungaretti che credo lo tenga ancora stretto tra le sue dita.
    Il resto può dignitosamente, principalmente me compreso, la mia coda e le mie corna, essere aria fritta. Fuss

  28. Obbedisco, mon général!
    Mamma,babbo e la vita mi hanno fatto unico, duro e poliedrico: vorrei esprimere il tutto che so ed ho condanna non donare nulla.
    Do coraggiosamente il via alle pompe di livello e partecipo al gioco. Fuss

  29. le coincidenze… “per cosa vivi Piero?”.
    Per la vita, per sapere che a distanza di tanti anni, dietro al suo lavoro svolto con grande umanità, c’è qualcuno che si è fatto coraggio ed ha voluto scrivere (bene o male) una storia con delle lacrime che sono diventate colorate. Questo grazie anche a Piero… lo deve sapere. Ciao enrica

  30. Io penso su ciò che recepisco, caro Fuss, e se tu mostri una faccia devo prendere per buona quella, fino a prova contraria. Però, ragazzi… alziamo un po’ il livello, eh…

  31. Ti ringrazio Sergio. Molti dei miei atteggiamenti interpretrati come “forte persononalità” o protoganonismo (“aspettava l’applauso” hai scherzosamente detto durante l’ultima lezione) sono causati in parte da una situazione di estremo dolore e senso di impotenza. Una “non accettazione” per dirla con te di quel che la vita mi propone quotidianamente. Un ribellione vera e propria che per me ha un suo senso e di cui il senso vero sarebbe “rinuncia”. Battaglia già segnata da sconfitta, non meno degna di essere vissuta.
    Sai Nautilus, in quegli occhi acquosi che poco eprimono, nella sonnolenza perenne da uno stato di malattia, dallo spavento di chi vede la sua morte nei particolari, perchè di quelle morti ne ha viste tante essendone specialista e conosendole nei minimi particolari, nasce una grande lezione che mi sarà compagna. “Per cosa vivi Piero?” ho chiesto stupidamente un giorno. “Per la vita” è stata la risposta.

  32. Finarmente ‘na scurreggina simpati’a da ‘n finto nemi’o: poso ‘r tegamino coll’ova ‘he mi ‘ocevo sur Fo’o Sacro di Zarahtustra, ‘he tanto dura – e poi le posso anco mangia’ ghiacce (tanto, senza denti è l’istesso).
    Lo show di tipi alla Fiorello nun’è stato male, bravo Nautilusse!
    Nun ci ‘redo ‘he tu ‘n ci ‘apisca ‘n cazzo sulle ‘azzate ‘he tiro: anco te mi sei simpati’o, Caronautilusse, e se scorci la tu’ anguilla io la smetto di spara’ all’anatre.
    Finarmente un orecchio! Mi sembrava d’esse’ ‘n battitore di materassi a molla alla TV!
    Certo ‘he mi diverte, ‘vesta ‘osa: anzi, di più – ti ringrazio der passaggino della palla di cenci. Ora dibblo e te la ripasso.

    Quel s a c c e n t e m’è tentennato un po’, prima di cascare nell’acqua del discorso, poi mi son chiesto: ‘Quell’astuto pescatore di Nautilus, chissà se abbocca?’. Menomale, sì!
    Quindi, più che incazzato, sono un non-incazzato – simpatico e dotto non-nemico Nautilusse!
    Ora che mi sento meno solo, mi ciuccio a risata il mio lecca-lecca con su scritto: ‘Non Dire Cazzate, o Almeno Dinne Meno!’ e m’addormento felice facendo ngum ngum.
    Se ci fosse un premio, tipo Oscar o affini (che son tutti la stessa zuppa), sarebbe a me che adesso toccherebbe per ‘L’arzigogolatura sofistica più pregnante’ sparata fin’ora.
    D’accordo!
    Proporrei, tenendomi stretto questo meritatissimo premio, di continuare col gioco e di assegnare, ogni tanto, un equivalente riconoscimento a colui o colei che la spari più grossa, più noiosa o, addirittura, più divertente.
    Per il nome da dargli, che anche un NN ce l’ha, suggerirei: ‘Trofeo dell’asino leggente’ – poi, fate voi.
    A Nautilusse aggiungo: mi conforta sapere che dalle più accese dispute e dai più duri scontri sono nate le più solide amicizie.
    Abbasso la monotonia, evviva le diversità.
    E tanto rispetto. Fuss

    Andando in macchina, come si suol dire, leggo la cosa di Sergio – che saluto invitandolo, col solito rispetto per le opinioni altrui, di tentare di pensare di me come all’esatto contrario di ciò che invece pensa adesso: il gioco è gioco, non fazione.

  33. Hai ragione Enrica… quello che hai detto nelle ultime righe, “se non è solitudine questa”. E qui viene fuori la forza di una persona, la voglia di combattere, di esserci a tutti i costi, perché la vita va sfidata e combattuta sempre, fino all’ultimo. Nautilus… non posso che darti ragione su fuss: morde e fugge, è complicato e forse non sa neanche lui cosa dice. E allora, caro fuss o come ti chiami, secondo me tu lo fai apposta, butti lì parole che neanche un politico della peggiore specie direbbe. A me piace essere un po’ complicato, aggirare attorno all’ostacolo per poi prenderlo di petto: ma tu, effettivamente esageri. In fondo stai prendendo per il culo te stesso, perché noi, qui in questo blog, non abbiamo l’orecchino al naso.

  34. Amico Nautilus, non c’è un bel nulla da scuarsi.
    Prima di tutto, se ricordo bene, la distanza fra la tua bocca ed il naso è pari alla mia. Tanta cioè. Che vuoi, fisionomie toscane che rimandandano agli etruschi, o comunque mediterranee. Di nasetti alla francese ce ne son pochi da queste parti.
    Restano ferme le mie convinzioni che con l’ansia di immortalità ben poco hanno a che fare, ma non credo sia questa la sede per approfondire.
    Ti ho persino ringraziato per quei due lucciconi che mi hai fatto salire: sono un lusso che raramente mi posso permettere.
    E poi sono straincazzata. La situazione quella che più o meno ricordi a braccio. C’è bisogno di un esame urgente. Urgenza sottolineata dal medico in un caso, come tanti, di invalidità totale. Appuntamento per il 15 luglo prossimo. Ora dico, io posso permettermi per conoscenze e censo di risolvere prima, ma gli altri? Si può morire di burocrazia ed inefficienza e se non è solitudine questa non so più che è. Non ti angustiare Nautilus per me.

  35. Caro (caro?) Fuss

    “SACCENTE? A me? A miiaaa!? Ma como ti pemmettesti! Ma io faccio un macello…”

    No siciliano mi viene male, ricominciamo:
    “Io saccente? Ma dici a me? Ma dici a me? … Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui”.

    Lasciamo perdere anche il nuyorkese alla Taxi Driver, forse è meglio il livornese:
    “TE saccente a ME? Certo ci vor la tu’ ghigna! Ogni tanto ci rivoghi dall’alto le tu’ sentenze dov ‘un si capisce un cazzo, le butti lì piene zipille di isse dicsit e te ne vai senza parlà con nissuno!
    Alla grazia di così parlò Zaratustra!!
    Deh, Fussgange, io ti perdono perché se’ simpati’o, ma ‘un te n’approfittà.”
    (Ciao Fuss, si fa per scherzare, chi s’incazza muore, son sicuro che sei d’accordo.)

  36. Caro Sergio, questo romanzo (il buon soldato) è scritto con uno stile particolare, del quale non mi sarei mai accorto se non avessi frequentato il corso.
    Scrive in prima persona ma non agisce quasi mai, parla di quello che fanno gli altri. Funziona quindi come testimone di quel che accade, sostituendosi in pratica al punto di vista dello scrittore.
    Ripensandoci è un artificio usato anche da Joseph Conrad e Melville in molti romanzi. Probabilmente era un metodo ottocentesco, dove nei romanzi abbondavano le riflessioni, poco adatto per i romanzi attuali dove invece l’azione predomina.

  37. Per Enrica:
    come ho scritto, spesso non mi ricordo dalla bocca al naso, sennò avrei evitato certi riferimenti.
    Mi pare ora appunto di ricordare che avevi descritto una situazione nella quale un mio commento è stato sicuramente inopportuno, te ne chiedo scusa di cuore, me n’ero completamente scordato.

  38. Mi sa che qui c’è un EQUIVOCO, non sarò riuscito a spiegarmi bene.
    Non è che nego l’importanza delle emozioni: senza emozione e amore e rischio e avventura la vita vale ZERO.
    Discuto i MEZZI con cui si provocano le emozioni.
    Intanto mi pare chiaro che il contatto con le persone vive è più emozionante delle pagine scritte.
    Ma riutilizziamo di nuovo Tenco, vediamo se mi riesce di chiarire ulteriormente.
    Chi è che non rimane emozionato fin nel profondo da questi versi:
    “Mi sono innamorato di te / perché non avevo niente da fare”
    Ragazzi, ti fanno saltare sulla seggiola!
    Eppure non vi sono parole grosse, grandi sentimenti anzi, il loro impatto sta proprio nel voluto understatement, nella sottovalutazione iniziale di questo innamoramento.
    Voglio dire: non c’è sempre bisogno di usare artifici retorici per sollevare emozioni, anzi uno è tanto più bravo (e SINCERO) quanto più riesce a commuovere con parole semplici e piane.
    Nel libro che sto leggendo, il solito “Buon soldato” c’è questa frase:
    “Io non credo che la povera piccola Maisie fosse davvero l’amante di Edward. Il suo cuore era così debole che non avrebbe neppure resistito alla più pallida imitazione di un amplesso appassionato. Questo per dirla in parole povere; e io penso che le parole povere siano sempre da preferirsi.”
    Ecco, anch’io la penso così.
    Poi, come dice Cristiana, è una questione di gusti personali.
    Notare però che alcuni autori che ho citato, Hugo su tutti, si scatenano in pagine fiammeggianti di pathos. In “Novantatrè” c’è questa scena:

    Castello di vandeani assediato dai rivoluzionari. Il capo supremo della controrivoluzione per salvarsi incendia un’ala del castello e fugge da un passaggio segreto. Colpo di scena: nell’ala incendiata ci sono due bambini, figli della vivandiera del reggimento rivoluzionario e creduti morti! si affacciano e chiedono aiuto! Il reggimento si lancia all’attacco per salvarli ma la torre in cui si trovano ha una porta di ferro che non si riesce a sfondare! La madre impazzisce dal dolore, i due eserciti nemici assistono orripilati e impotenti al progredire dell’incendio! Chi può salvarli? Uno solo, che ha la chiave della porta. Ma è il capo dei vandeani! Ed è già in fuga. Se scappa potrà riaccendere la resistenza in altri luoghi, se preso verrà ghigliottinato! Incertezza angosciosa. All’ultimo istante cede, torna indietro, apre la porta, salva i bambini e viene arrestato. All’alba sarà giustiziato perché il tribunale rivoluzionario è inflessibile! Ma…durante la notte il capo dei rivoluzionari, commosso dalla magnanimità dell’avversario, va, lo libera e prende il suo posto: sarà ghigliottinato davanti al suo reggimento! Non è finita, il giudice inflessibile che lo condanna a morte è suo fratello! E si spara dopo l’esecuzione!

    Ora, questo è un feuilleton pazzesco, se l’avessimo proposto a Sergio come arco narrativo c’era da sganasciarsi, ma scritto da V. Hugo ti prende per la gola fino all’ultimo, invece di farti ridere come dovrebbe.
    Perché Enrica alla fin fine, come dicevo prima è COME si scrive che conta, più di quel che si scrive.
    Il grande autore riesce a evitare il sentimentalismo a buon mercato degli scrittori di Harmony.
    Che poi è quello il mio bersaglio.

  39. Visto che mi chiami in causa Nautilus, sì faccio il corso ma probabilmente non te ne sarai accorto……….non sono persona dalla forte personalità……evidentemente,comunque ci sarei ed è da molto che scrivo, non certo romanzi ma un pò di tutto, pensieri, commenti e altro…….tutta roba di poco conto e con niente di raziocinante, tutta robetta che viene dal cuore…..tse’……..
    Riguardo ai film, caro Mauro, se non erro,de gustibus disputandum non est……..era un chiaro riferimento a ciò che non è scienza e logica…….amen

  40. Infinito – infinito è ormai ieri: incomprensibile eppure già vissuto.
    Non si possono negare i limiti delle nostre dimensioni, stabilite probabilmente dalla materia stessa che ci compone nel tentativo di s a p e r e se stessa, capaci nella loro finitezza solo di suggerire il mai finito della dinamica dell’angoscia, posata sull’assenza di possibile risposta.
    Può e s s e r e un disarmonico che non senta l’assenza e non interroghi?
    Sì, può!
    Ma uscire da sotto la tettoia con l’ombrello per evitare di infradiciarsi degli interrogativi, reputati senza risposta dallo
    stesso cervello che da le risposte, rappresenta una sfida inesistente, perché suggerita da una logica che non può esaurire la volontà di cercare e di vivere.
    Lo stesso pensiero ha bisogno di mezzi non nudamente analitici per evitare di annullarsi ed esistere solo per rimpallare se stesso.
    Fantasia e immaginazione, recinti e aperti orizzonti ospitano quello che noi chiamiamo vita e che, paradossalmente, ci fa accettare la nostra immobilità e l’assenza di possibili metamorfosi assieme alla disperata ricerca di una linea che disegni i nostri improbabili contorni – meraviglia della dinamica di scoprire quel che già è conosciuto e mai capito.
    Al di là di ogni ingannevole retorica è sufficiente guardare dentro gli occhi di una donna gravida, che da soli sono capaci di contenere la gioia primigenia della solitudine e della continuazione immateriale della maternità, assieme alla inutilità del concetto di infinito, che ne rimane prigioniero – di questo ulteriore mistero.
    Emozioni in prestito solo per il piacere del baratto sociale delle proprie storie di vita, ma: essere veicolo di emozione o l’emozione stessa? Esserne un componente senza tempo o solo un mezzo per trasportarla?
    Chi vede l’alba ha vissuto la notte e chi vede il tramonto ha vissuto la giornata, per essere consumato da un’altra notte e da un’altra alba che sono ieri e domani.
    Se un ruffiano manifesto mi fa venir voglia di mangiarmi un biscotto, non è che abbia bisogno di conoscere il nome e il cognome dell’attacchino o la marca della colla che lo tiene su: però me lo mangio con gusto, come se ne avessi davvero bisogno.
    Ben vengano poeti e narratori, cantori e prosatori che con qualsiasi mezzo espressivo e con sintassi anche rudimentali tentino di aggallare emozioni nascoste o assopite dentro coloro le cui orecchie e i cui occhi siano ancora capaci di trasmettere sensazioni conosciute o piacevoli – e diventarne anche solo strumento.
    Amo più la stupidità e l’ignoranza fiorite che un’appuntita elegantemente aggressiva e acutamente saccente dialettica, fredda e appassionata di tenzone.
    I banchieri non hanno emozioni proprie: se le comprano.
    I cavalli frustati a correre il senso unico dell’ippodromo non sono felici dei loro sudati trionfi.

  41. Ma certo Nautilus, perà sei stato capace di farmi spuntare dei lucciconi salutari che un po’ mi hanno alleggerito stasera. Ci sarà modo di spiegarti il perchè e di questo comunque ti ringrazio. Buona notte

  42. Mi immergo nello sguardo di chi mi dà emozioni, ci sprofondo dentro quando amo, istintivamente le do tutto, sento i battiti del suo cuore e quelli del mio che battono all’unisono, forte. Seguo l’anima, non il corpo. Tutto il resto, poesia, prosa, romanzi e fotoromanzi, Muccino, Hugo, Pirandello, Tenco, non contano niente per me e per chi mi sta davanti. E se poi è solo un sogno… pazienza, ma vado avanti, imperterrito, a dire che la retorica è spesso verità, così come i luighi comuni.

  43. O rieccoci, dove eravamo rimasti?
    Ah, c’è ancora quella r…i d’ ENRICA
    chiedi: ”Come si fa, mi domando, a conoscere l’uomo attraverso ciò che gli occhi vedono?”
    Allora dimmi te: attraverso cosa riesci a conoscerlo? Dai libri? Dai film? Dalle tue speculazioni filosofiche? Da quel che ti dice di se stesso?
    Quel che voglio dire è che l’uomo lo puoi conoscere un poco attraverso l’OSSERVAZIONE diretta e più possibile obiettiva. OVVIO che la tua sarà un interpretazione personale della realtà, COME TUTTO.
    E soggetta a errori anche gravi in questo gioco di specchi magici ch’è la vita, ma sempre meglio che vederlo come PENSI che dovrebbe essere o come si vanta di essere, ti pare?
    Questo volevo dire.
    Tu parli d’intuizione e poi d’esperienze: perché no, non sono osservazioni anche queste? Anche se si dice che l’intuizione è caratteristica femminile, che infatti non mi pare di possedere granchè, quindi te la lascio.

    “Se il patrimonio intellettivo, affettivo ed emotivo di ognuno si cancellasse con la perdita della fisicità…mi verrebbe da considerarlo una contraddizione in termini”

    E che ALTRO dovrebbe succederne? Mi sa che scambi un pio desiderio (quello di vita eterna) per una contraddizione nella natura delle cose. Ieri han fatto vedere in TV dei malati d’Alzheimer: dov’è andato a finire il loro patrimonio intellettivo ecc., è in parcheggio da qualche parte? In attesa della resurrezione?
    Le favole son belle, ti direbbe Paola.

    “Poesia e velleità di far poesia”
    Qui ti dò ragione, chi può dire dove sta la differenza?
    Però non son d’accordo sul resto: la vera poesia sta proprio nel COME TI ESPRIMI, piuttosto che in quello che esprimi, i grandi poeti si distinguono non tanto dai grandi sentimenti o dalla capacità di capire l’essenza delle cose (che tutti possiamo avere come ti direbbe giustamente Cristiana) ma da come lo esprimono.
    Per la VELLEITA’ beh, voglio dire che se uno scrive amore in rima con cuore e crede d’aver fatto poesia, si sbaglia, non sei d’accordo?

    L’ironia di Tenco.
    “Angela Angela angelo mio, ma tu stasera invece di piangere…”
    Questa è una grandissima canzone ironica.
    Parte con l’uomo sicuro di sé e del suo potere:
    “Volevo solo vederti piangere..sentire che il tuo cuore è nelle mie mani..”
    E finisce da completo sfigato piagnucolante, un poveraccio:
    “Ti prego Angela no, non andartene / non puoi lasciarmi quaggiù da solo..”
    Meravigliosa, un intero atto teatrale in poche strofe, vedi la poesia?
    Però hai ragione tu, Tenco di solito si prendeva troppo sul serio, era capace di sarcasmo ma non di ironia, altrimenti forse se la sarebbe scampata.
    Gino Paoli che avrà scritto si e no tre belle canzoni (Tenco almeno una quarantina) è sempre lì che fa il decano dei cantautori, ma lui era molto più furbo e disincantato.
    Sei soddisfatta? No, lo so che per ogni risposta ti nascono due obiezioni o tre, vabbè, vedremo.
    Ma per oggi ciao.

  44. C’era una volta un piccolo naviglio
    che non voleva non voleva navigar
    ma dopo una, due, tre, quattro, cinque, sei settimane
    il picolo naviglio, il piccolo naviglio navigò

    Canzone scema anni 30

  45. Cara CRISTIANA, m’inviti vedere il film di Muccino per provare emozioni e sottrarmi al dominio della fredda logica ? E perché non m’inviti a leggere Grand Hotel o Harmony per scoprire l’amore ?
    Io il film di Muccino non l’ho visto ma da quel che mi hanno detto mi farebbe ridere dal principio alla fine, come i libri di Moccia o di Coelho!
    Cristiana io non ci trovo le emozioni ma ci leggo operazioni commerciali confezionate a tavolino come si fa appunto coi fotoromanzi o i romanzetti sentimentali.
    Se voglio, e perché no? provare emozioni sentimentali leggo “Cime tempestose” o “Anna Karenina” o “I miserabili” o al limite “Via col vento” lì sì che ci sono emozioni non di plastica!
    Guarda, quando ho finito “I lavoratori del mare”, storia d’amore scritta da Victor Hugo avevo gli occhi pieni di lacrime, è successo solo un paio d’anni fa.
    Ma quella è roba VERA, roba FORTE che davvero ti stringe l’anima (almeno la mia), non robetta preconfezionata sempre uguale.
    Poi Cristiana tutto ciò è legato alla sensibilità personale, quel che voglio dire è che non rinuncio affatto alle emozioni, ma che nei film alla Muccino non ce ne trovo, se te sì va benissimo, è questione di gusti e predisposizioni, ma non venirmi a dire che solo lì si trovano.
    Sai cosa si fa? Il mio prossimo racconto sarà una storia d’amore folle, te lo farò leggere e vediamo se ci troverai emozioni o no.
    Per intanto lasciamoci così senza rancor…ma te fai il corso di Sergio? Non ricordo ma non te n’avere a male, non mi ricordo di qui a lì.

    Enrica, non bacchettature: LEGNATE. Abbi fede.

  46. Ragazzi, m’invitate a nozze, oggi c’ho anche tempo a iosa.

    SERGIO: è vero le domande “chi siamo, che scopo abbiamo” ecc. non me lo pongo affatto. Sai bene quanto me che non avranno mai risposta, quindi ritengo assolutamente futile interessarmene.
    So però che persone intelligentissime nel corso dei secoli non hanno rinunciato a porsele e d’altra parte chi ha una fede si è già risposto. Credo quindi che porsele o meno sia una questione di carattere e inclinazione personale: io credo di essermelo chiesto per qualche giorno della mia adolescenza, poi basta.
    L’unica domanda senza risposta che ogni tanto mi viene in mente è:”Quanto è grande l’universo fisico?” e subito cerco di cancellarla perchà la risposta che dà la scienza è: “Infinito”, e questo è un concetto impossibile per la mente umana anche se in matematica se ne fa continuamente uso. Ma l’idea di uno spazio infinito (come di un tempo) è inconcepibile.
    Tenco ha scritto anche molte canzoni che fanno appello alla retorica, quella che ricordi te (Cara maestra) per me ha un finale da brivido quando si rivolge al sindaco:
    “Tu gridavi alla gente vincere o morire / poi vinto non hai eppure non sei morto / e al posto tuo è morta tanta gente / che non voleva nè vincere nè morire…”
    Questa è arte retorica nel senso che mira a smuovere un’ emozione, e ci riesce in pieno.
    Ma bisogna ammettere che la retorica spesso (non sempre) è ingannevole e, se usata in mala fede, truffaldina, come tutto ciò che fa appello alle emozioni.
    Così il Duce che grida “Vincere o morire!” alla piazza o il ragazzo che dice “Come sei intelligente e comprensiva, con te parlo benissimo di cose spirituali e superiori al sentire comune” a una ragazzina, fanno la stessa operazione, usano la retorica per raggiungere un altro obiettivo: l’entusiasmo per la guerra l’uno, il consenso a far l’amore l’altro.
    Insomma io non dico che la retorica non ci vuole, sarebbe come dire che bisogna bandire le emozioni, sostengo solo che bisogna DIFFIDARNE.

    Gli altri più tardi.

  47. Riparto dalle citazioni di Nautilus che ho tentato scherzosamente ed affettuosamente di alleggerire e dal successivo commento di Sergio, propenso quasi a chiudere l’argomento posto di fronte a pensieri espressi in merito da cotante personalità.

    Proprio dalle citazioni mi sembra abbastanza chiaro che non ci sia tema come quello della creatività che sia stato più intimamente legato alla “solitudine”, o “esperienza di solitudine”, o “malinconia”, chiamiamola pure come meglio ci aggrada; nelle intuizioni folgoranti degli artisti così come nelle meditazioni dei genii speculativi.

    Goethe poeta,tanto per far dispetto a Sergio e Nautilus, così si esprime:

    “Un tenero poema, come un arcobaleno/non appare che su uno sfondo scuro/è per questo che al poeta ed al suo ingegno è gradito/l’elemento della solitudine.”

    Ma anche Kierkegaard (per i più razionalisti) così si esprime nel “diario”.

    “Mi sento sprofondare nel tormento della solitudine più cupa ; l’uno e l’altro pensiero mi si aggrovigliano talmente attorno che non so più districarmene e, poichè stanno in stretto rapporto con la mia propria esistenza, ne soffro indescrivilmente. Poi trascorso un po’ di tempo il bubbone scoppia ed allora vi si apre al di sotto la più ricca ed attraente produttività”.

    Non credo ci sia niente di retorico od illusorio in questo.

    Mi pare evidente che la condizione di solitudine e melanconia sia un sentimento proprio dell’uomo. C’è chi, particolarmente dotato, riesce a trasformarlo in slancio creativo e i più, che pur avvertendolo e soffrendone, tendono ad accantonarlo, scambiarlo per malattia od esorciizzarlo dando colpa magari al tempo mutevole.

    Come si fa, mi domando, a conoscere l’uomo attraverso ciò che gli occhi vedono? Gli occhi trasmettono tutt’al più giochi di luce al cervello che inevitabilmente le filtra ed interpreta a seconda del suo patrimonio e dei suoi vissuti. Ne deriva la “tua” conoscenza, detta anche rispettabilissima opinione e identità.

    Ma se a malapena nell’arco della vita che ci è concessa conosciamo noi stessi.

    La conoscenza assoluta non credo sia possibile. Ci si può avvicinare ad essa, “provarci”, come dice Sergio, con altri mezzi seondo me. Intuizione,spiritualità, curiosità di sapere che ne sarà dei nostri dolori, esperienze, percorsi, dopo che avremo laciato alla terra questo corpaccio che ci è compagno.

    Tutto si trasforma e nulla si disperde (vero Nautilus?). Se il patrimonio intellettivo, affettivo ed emotivo di ognuno si cancellasse con la perdita della fisicità, mi verrebbe da considerarlo una contraddizione in termini. Non ho una grande fede religiosa e questo interrogativo mi affascina.
    Asteniamoci da banalità tipo “resterai nel ricordo dei tuoi cari e di chi ti ha amato” altrimenti la retorica diventa nuseabonda.

    Poesia e velleità di far poesia; anche qui capisco poco. Quale la differenza Nautilus?
    L’importante è cosa esprimi non COME. Qualcuno ti capirà, altri ti intuiranno, qualcuno rinuncerà perchè di un altro sentire.
    Che vuol dire? Renoir grande maestro della luce e Fontana testa di legno perchè tranciava o sbruciacchiava tele?

    Veniamo a Tenco.
    In tanti lo abbiamo amato. Confesso che a 16 anni ogni tanto lo smorzavo perchè se ero in un momento “no” mi troncava del tutto.
    Certo non c’è ombra di retorica, ma non manca certo l’evocazione o una certa banalità “illusoria” per giunta in rima (…l’espressione negli occhi di un altro, ti farà ricordare i miei occhi, quegli occhi che ti amavano tanto ).
    Anche in lui la solitudine, il sentirsi diverso dai più hanno prodotto soluzioni creative diverse dal comune ed anche apprezabili.
    Cosa gli è mancato secondo me? L’ironia, la voglia di irridere o sbeffggiare, l’uso violentato della parola che si piega ad un significato diverso dall’usuale per farsi arma ancor più tagliente ed efficace di un mortifero disagio personale.
    Preferisco Gaetano allora.

  48. Il confrontarsi o assomigliarsi ad altri nel misurare la solitudine (anche misura nulla), già la scongiura e la immagina: ti fa fiero il sentirti stoicamente solo, assieme ad una moltitudine di individui che abbiano compreso la difficoltà o addirittura l’impossibilità di comunicare – comunicare, dunque, e non essere soli; entro i confini di ciò che possiamo determinare e che ci appartiene e di quello che invece non possiamo determinare e che non ci appartiene.
    Lo stesso ascoltare le voci altrui è solitudine: udirle sarà la volontà continuamente abortita di comunicare, sete di avere sete.
    Peggior cosa, felicemente soli tutti assieme, perché ciò non dipende da noi; la migliore, percepirla come definizione: solitudine come felicità, come bontà o cattiveria, perché questa scelta ricade entro i limiti della nostra volontà.
    Ciò che siamo, siamo – senza negare a se stessi di non saperlo: siamo coscenti delle nostre azioni e del loro rotolare lontano da noi.
    Il non comunicare penso stia proprio nel tentativo di farlo e, qualche volta, può essere piacevole commettere un errore tacendo.
    Come è preferibile non avere bisogno di eroi, altrettanto salutare è evitare la compagnia di solitari protagonisti – e chi li potrà mai fare protagonisti, se non un esercito di identici cloni?
    E’ il tono che fa la musica, dicono in Germania – importante cosa è detto, o tentato di essere detto, e non come esso viene esposto.
    Sono fiero della mia mediocrità senza certezze e della percezione minima della mia misura.

  49. Nautilus……..permettimi una visione pienamente concorde con Sergio…e che cavolo……!!! si vive di retorica, di domande, di una ricerca e un percorso “dentro noi stessi” e ancora di sensazioni, perplessità……EMOZIONI….!!!!!!Tenco era l’emblema di una ricerca introspettiva dibattuta e struggente fino ad indurlo al suicidio, un’anima sensibile e per questo più fragile e più per così dire ” esposta” ai disinganni della vita. E permettimi un consiglio, scusa, non volermene, non andare a vedere film sulle Torri gemelle, così spietatamente scientifici….dirigiti verso temi come quello dell’ultimo film di Muccino (Muccino Sivio) con il suo “Parlami d’amore” così meravigliosamente inspiegabile dalla logica……..e dagli algoritmi…:)

  50. Ben vengano tutte le opinioni possibili, anche se con Nautilus, almeno sotto molti punti di vista, non sono d’accordo. E lo scambio di idee, le “battaglie” a parole ci sono solo se le opinioni divergono. Perciò è divertente. E allora mi sento di dire, caro Nautilus, che il tuo modo di vedere le cose in maniera molto terrena, ti distolgono un po’ dalla spiritualità, dalla ragione, che non capiremo mai, per cui siamo qui su questo mondo, spesso di merda, altre volte un po’ meno. Chiedersi “chi siamo?”, “da dove veniamo?”, “dove andremo?”, è qualcosa che è sempre stato nella mente dell’uomo, perché l’uomo è curioso, vuole scoprire i misteri, vuole trovare l’identità che manca. Un po’ come un bambino adottato che un giorno, pur non rinnegando i genitori adottivi, vuole sapere chi siano il vero padre e la vera madre. Tu Nautilus non ti poni molti problemi né del dopo né del prima: solo quelli dell’adesso. Del presente. Non c’è retorica in quello che diciamo, non ci sono luoghi comuni: c’è una ricerca, forse vana, ma c’è una ricerca di un qualcosa che fa parte di noi, della nostra spiritualità che “sentiamo” ma non riusciamo a capire. Io voglio sapere, e se non lo saprò, pazienza… ma ci ho provato. Tenco, che fra l’altro è sempre stato uno dei miei cantautori preferiti, scriveva la realtà, è vero, senza fronzoli, le sue parole erano dirette, ma si potrebbe dire che anche le sue parole erano intrise di luoghi comuni e di retorica (come fa un povero che entra in chiesa sentirsi come se fosse a casa sua… una delle sue canzoni); la sua semplicità ha fatto breccia in molti di noi. Però… però la sua dannata semplicità e il suo non ridere, e la sua introversione, e le sue problematiche, e le sue ricerche di un qualcosa lo hanno portato al suicidio. Forse l’amore è stata la molla. L’amore. Solo pronunciare questa parola verrebbe da dire che più retorica di questa non ne esistono.

  51. Amarezza Enrica? Macchè!
    Quel che percepisci così è voler guardare la vita con disincanto (posto che sia mai stato incantato) o meglio ancora con realismo scettico cercando di osservare freddamente come siamo fatti.
    La mia visione dell’uomo è sperimentale (verrà dal lavoro che faccio) non si basa su ciò che penso dovrebbe essere ma su quel che vedono i miei occhi, cercando di capire com’è davvero.
    Il saperlo non induce in me alcuna amarezza: siamo fatti in un certo modo? Pace, si vede che non possiamo far di meglio. Va bene così.
    Quel che trovo deleterio e non sopporto sono la retorica e l’illusione.
    La retorica è l’inganno, l’illusione è colui che si fa ingannare.
    Per dirti del mio atteggiamento di osservatore: iersera ero con un’amica a vedere “Zero”, un film-denuncia molto ben fatto e circostanziato sugli aspetti oscuri del crollo delle Twin Towers.
    Siamo usciti e la mia amica era rimasta completamente sedotta dalla tesi del film, quella del complotto: le torri sono state abbattute dagli americani stessi.
    Ora, è vero che ci sono punti inspiegabili nella versione ufficiale ma se si accetta la tesi del complotto ne vengono fuori il doppio di punti senza spiegazione.
    Ho provato a dimostrarlo, non c’è stato verso, ha detto che lei al film CREDE.
    Per finire su come vedo il mondo ti ricopio un giudizio che ho letto ieri qui in rete sulle canzoni di Luigi Tenco:

    “Di solito una canzone mette in versi una storia, o un sentimento. Ma Tenco a volte quando canta lascia l’impressione di dire le cose come stanno, senza neanche un grammo di poesia. “Tu non hai capito niente”. “Quando la sera ritorno a casa non ho neanche la voglia di parlare”. Questa non è poesia, è prosa. Vedi una strofa come questa:

    Io sono uno che sorride di rado, questo è vero, ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro.

    Non mancano solo le rime: manca qualsiasi figura retorica, anche minima; qualunque velleità di far poesia. Luigi Tenco, il Grado Zero della canzone.”

    Ecco, questo commento (che nei riguardi di Tenco ritengo molto azzeccato) coglie anche la mia personale preferenza per la prosa e l’assoluta antipatia non tanto per la poesia, ma per la VELLEITA’di far poesia.
    E buonanotte. Sfrutterò l’indirizzo.

  52. Scusate ma stasera, una freddissima serata di febbraio,un cielo di ghiaccio, immobile,chiarissimo forse mi parla di solitudine…..Quella degli anziani che, ossa ghiacciate dal freddo,sono giunti al termine di un percorso e stanno passando il testimone ad altre vite, come questa stagione di fine inverno preludio di nuovi risvegli primaverili e nuovi colori……..presto… di nuovo……

  53. E bravo Nautilus! Che è? La collezione per i bigliettini dei “Ferrero Solè” che lanceranno sul mercato prossimamente, venduti in confezione rigorosamente singola, ‘un s’avessero a dar noia l’un l’altro?
    Nelle meno costose e più prosaiche bustine di “seme”, proporrei infilare qualcosa come

    Meglio soli che male accompagnati

    Chi è solo “un s’addolora”

    Sei solo come un cane? Statti e un cercà’ gatti

    Meglio soli che ‘na sola

    Le società son belle se di numero dispari inferiore a tre.

    Se sto solo mi consolo.

    Scherzo dai, non te la sarai mica presa ehh?

    Mannaggia nei tuoi commenti c’è sempre un filino di amarezza, o almeno questo ci vedo io.

    Ragazzi mi è piaciuta l’ultima lezione e l’idea della pizzata. Da ripetere direi. Mi piacerebbe anche leggere con calma quel che avete scritto che al corso non c’è mai tempo; per quelli che vogliono farlo naturalmente. In qualche commento ho lasciato la mia posta elettronica, ma la ripeto:
    enrica.picchioni@fastwebnet.com
    Un saluto a tutti in perfetta solitudine, ecco.

  54. Ciao Sergio, detto benissimo:
    “ti senti solo quando non sai stare da solo”
    in effetti accetti compagnie che ti piacciono poco quando ti pare che sia meglio che rimaner solo.
    Errore.

  55. Piuttosto, sto leggendo un bel libro: “Il buon soldato” di Ford Madox Ford, inglese.
    All’inizio c’è la descrizione del protagonista, un uomo che ha molto successo con le donne pur non sapendo parlar d’altro che di oggetti: selle, stivali, brandy, saponi, fucili, questi i suoi argomenti abituali. (La vicenda si svolge agl’inizi del ‘900, oggi parlerebbe di auto, barche, sci, whisky, ristoranti ecc.) L’autore è stupito:
    “Come poteva suscitare l’ombra di un sentimento in un essere umano? E di che parlava con le donne nell’intimità? Ecco, improvvisamente mi pare di saperlo. Tutti i bravi soldati sono dei sentimentali. La loro professione anzitutto è piena di parole grosse: coraggio, lealtà, onore, fedeltà. Mi diceva per esempio quanto l’amicizia di una “donna superiore” possa redimere un uomo, e come la fedeltà sia la più fulgida delle virtù. La fedeltà! Un’idea un po’ ridicola in lui, temo!”
    Questo piccolo brano mi fa venire in mente due cose: la mia personale diffidenza verso i paroloni, già espressa in un post su “La famiglia” mi pare e l’avversione per il sentimentalismo che fu oggetto, se non ricordo male, del primo post che inviai a questo blog. Son trappole.
    Ford compendia tutto ciò in tre righe, beato lui.
    Avete notato come fa piacere leggere un autore famoso e ci trovi esattamente quel che sostieni nelle discussioni?
    Purchè l’autore famoso non sia Coelho o Moccia o la Tamaro eh!!!

  56. Bravo Nautilus, con le frasi che hai riportato mi sentirei quasi di chiudere questo argomento sulla solitudine, per aver capito sostanzialmente che ti senti solo quando non sai stare da solo, e se stai bene da solo (quando scegli di starci) vuol dire che sei più o meno in pace con te stesso. Tutto il resto, cioè la parola soliuidine con tutte le sue sfaccettature, è una serie di problematiche che se ci agganciano bisogna dare la colpa a qualcosa o a qualcuno, o a noi stessi.

  57. La solitudine? Non la conosco.
    Mi verrebbe di scrivere, perchè mi pare di non sentirmi mai solo.
    Spesso non c’è nessun altro con me, ma non è solitudine questa.
    Poi, se ci ripenso, invece mi capita a volte di sentirmi solo: succede quando accetto qualche invito magari per passare la serata, in compagnie fra le quali non c’è nessuno con cui io possa comunicare altro che in modo superficiale.
    Allora mi prende la solitudine esistenziale e rimpiango di non essere rimasto a casa, dove solo non mi sento mai.
    Quindi l’abusata frase: sentirsi solo in compagnia per me (raramente meno male) è valida.

    E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo.
    (Leonardo da Vinci)

    Chi mai può vantarsi d’esser capito? Moriamo tutti incompresi.
    (H. de Balzac)

    [Trarre sostentamento] nella comunicazione di uno spirito solitario con se stesso.
    (N. Hawthorne)

    Non occorre che tu esca di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta.
    (F. Kafka)

    Noi viviamo come sogniamo, soli.
    (J. Conrad)

    Ho conquistato la solitudine. Solo di quella sono fiero. È la socialità più vera.
    (O. del Buono)

    Nei luoghi solitari sii una folla per te stesso.
    (Tibullo)

    Per vivere soli bisogna essere un animale o un dio.
    (F. Nietzsche)

    Perché, in generale, si sfugge la solitudine? Perché pochi si trovano in buona compagnia seco.
    (Carlo Dossi)

    Chi sa star solo non si sente mai solo.
    (Roberto Gervaso)

    Se avete paura della solitudine, non sposatevi.
    (Anton Cechov)

    Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo.
    (Blaise Pascal)

    Alcune delle più incredibili storie d’amore che io conosca hanno avuto un protagonista solo.
    (Mizner)

    La solitudine è una bella cosa, ma occorre qualcuno che vi dica che la solitudine è una bella cosa.
    (H. de Balzac)

    L’intelligenza di un uomo si misura dal grado di solitudine che può sopportare
    (F. Nietzsche)

  58. mamma mia che faticaccia! forse venerdì avevo bisogno di una lezione di tecnica…Sto lavorando…sono contenta perchè il bandolo della matassa si è sbrogliato ma…chissà se quello che ho scritto è una sbobba! COmunque tutto serve…

  59. Credo che “l’accettare” in genere sia la sintesi di ogni argomento che trattiamo. Accettare l’amore, accettare la solitudine, accettare i drammi, le goie, le inquietudini, la vita e la morte. Naturalmente per “accettare” non intendo lasciarsi andare agli eventi senza combattere, ma prendere per buono ciò che ci succede solo perché il destino, nel bene e nel male, ha tracciato un disegno per tutti noi. Qualche volta leggermente modificabile, ma ineluttabile.

  60. La solitudine fa parte dell’esperienza umana e credo tutti la sperimentino mel corso della vita più di una volta.
    Sto pensando alla solitudine che talora ci assale nel periodo dell’adolescenza, fatta di insicurezze, timore di confrontarsi, sentirsi diversi e fuori dal “branco”.
    Sto pensando alla solitudine degli anziani confortata talora soltanto da qualche affetto distratto e distante mentre sentono avvicinarsi lo scadere della vita.
    Penso alla solitudine degli indigenti e non parlo di clochard che hanno magari fatto la loro scelta di vita; parlo degli indigenti con abiti dimessi ma dignitosi che verso fine mattinata setacciano le cassette di piazza Cavallotti selezionando con cura gli scarti meno scarti possibile.
    Poi la solitudine cercata, preziosa, che senza allontanamenti e senza rendere la vita opaca, ci consente talvolta di cogliere il senso vero delle cose senza interferenze, di restare ad ascoltar sè stessi. E’ questa la solitudine che definirei “popolata”, da quelle parti del sè che ci portiamo dentro troppo spesso trascurate o messe a tacere.

  61. Solitudine può essere il non riuscire un giorno vedersi riflessi sopra uno specchio: rifiutare l’immagine di uno sconosciuto.
    E’ questa la vera solitudine, oppure quella che accompagna il successo e che imprigiona e annulla l’identità? O invece quella del genio o quella dell’idiota?

    Com’è multiforme questa compagna che ad ognuno si suggerisce unica; possiamo immaginarne per gioco una Deità, la figura di una Kalì multibraccia e familiare o di una non pietrificante Medusa dai mille capelli serpentini – giusto per evitare di divinizzarla, dimensionandola alla nostra statura, partorita dalla nostra testa.

    Può la solitudine rappresentare uno stato che stia tra una non-solitudine ed un’altra? Essa si nutre sia d’abbandono che di narcisismo, riesce ad apparire confortevolmente calda o crudelmente algida.

    Come riuscire ad interpretare questi innumerevoli ruoli che essa suggerisce? Probabilmente accettandoli amici ed esorcizzaldoli, narrandoli a se stessi come nuovi ogni giorno.

    Nascita e morte, unica cosa, ci vedono soli.
    Suggerisco volentieri di esserlo in mezzo a tanti altri, come in questo comprensivo blog, anche se la sua coperta non sarà così ampia da poterci coprire tutti assieme; penso che un po’ alla volta ne potremo godere tutti quanti.
    La mia voce una tessera al mosaico del vostro coro.

  62. Esiste sempre “una relazione tra gli eventi”, ne sono sicuro. Niente succede a caso, neanche quando “devi” stare da solo e quindi soffrire di solitudine. E’ un percorso che serve a crescere, tutto serve a crescere. Il bene e il male, indifferentemente, sono i due opposti che fortificano l’anima.

  63. Frequento spesso la solitudine che anche io dividerei in due diversi stati dell’anima.Quando mi sento sola ed ho la sensazione che tutti, ma proprio tutti, si siano dimenticati di me la solitudine è sofferenza e ansiosa ricerca di conferme che invece qualcuno mi pensa, che sono stata capita.Molte altre volte invece, e queste sono le più frequenti, la solitudine non è vera solitudine ma è stare con me stessa. E allora, come spesso quando cammino in riva al mare,è una compagna preziosa che mi aiuta a fare il punto sulla mia vita, sul mio percorso.Intuizioni, speranze,sogni che accompagnano il mio essere “in viaggio”il tentativo di trovare un senso agli accadimenti sicura che, come scrive la Allende, esista quasi sempre “una relazione tra gli eventi”.anche quando scrivo non sono sola, sono con me……………..

  64. la solitudine è condizione essenziale per capire veramente noi… desiderare di stare un po’ sola è per me d’importanza vitale e per questo motivo ritaglio del tempo solo per me. Per il resto non patisco l’altro tipo di solitudine, per fortuna. Sono una persona ricca di affetti, di amore per la mia vita, di dialoghi veri… le amicizie e i figli hanno riempito così tanto il mio cuore…un saluto a tutti voi

  65. Dividerei la solitudine come stato patologico dalla capacità di rimanere soli.
    Tutti noi cerchiamo di relazionarci con il resto del mondo (esseri umani, animali, oggetti come la propria casa, la natura ….
    Spesso ciò non ci è possibile, e ci sentiamo soli anche in mezzo a persone conosciute o amate; questo stato patologico è estremamente doloroso

    A mio avviso, esiste un’altro stato di solitudine, che ci creiamo quando vogliamo rimanere da soli, per pensare, per poter fare qualcosa “da soli”, per rapportarci con noi stessi.
    Anche ciò puo essere molto doloroso, in quanto ci possiamo trovare a combattere con i nostri fantasmi.

    Si tratta comunque di stati che dobbiamo necessariamente attraversare, per poter crescere.

    Un caro saluto a Sergio e a chiunque ci legga

  66. Anch’io sono dell’opinione che la solitudine non rappresenti solo la negatività della propria condizione. Con la solitudine si riesce a crescere, non ci si vizia, si diventa più forti. E’ perciò bene spaccare in due questa parola, e fargli fare due percorsi diversi per poi farli confluire di nuovo in un unico punto. La solitudine che ti schiaccia, ti crea malessere, e quella che ti fortifica, necessaria per il proprio cammino. Scegliere di stare soli, vivere in una casa dove ti fa compagnia la musica, il gatto, un libro. Scegliere di vivere con qualcuno, perché stare soli ti spaventa o, naturalmente perché lo ami. Si nasce soli e si muore soli, dice Stefania. E’ vero?

  67. Si nasce soli e si muore soli..
    La solitudine dentro di noi nasce da una convinzione contorta pensando che, chi ci circonda deve dare delle rispopste a questo sentimento…condizione.
    é una depravazione dell’animo umano…confidare negli altri per sconfiggerla.
    Spesso si innesca un conflitto accusatorio verso gli altri, quando ci sentiamo soli.
    La solitidine nasce con noi…
    quando piangi nella culla…
    quando l’altro o altra non condivide i tuoi stessi interessi…
    Quando i tuoi figli prendono il volo e non sei più ” indispensabile ”
    quando vedi morire tanti amici sul tuo percorso…
    La solitudine, se non sfocia in eccessi patologici, può essere benefica, ti aiuta a leggere dentro di te.
    Ti fa apprezzare il mare, la musica, un buon libro, un film…
    La solitudine ti attanaglia lo stomaco, ma poi, quando passa… ti dice chi sei…cosa vuoi…
    Ti fa assaporare il calore del sole sulla pelle, il sorriso di un passante, gli alberi di mimosa in fiore.

    Si può morire di solitudine… vivere in solitudine…o attraverso la solitudine…ricominciare a vivere.

    stefania

  68. La solitudine penso abiti la dinamica della ricerca della presenza degli altri e, contemporaneamente, dell’identità di sé.
    Indefinibile come la malinconia, ti spinge a cercare qualcosa che già hai in tasca: un bicchiere che ogni volta colmo, appare vuoto.
    Forse proprio in questo il segreto del fascino avvolgente della stessa solitudine, che vedo come una chiave diversa per ognuno e che serva ad aprire una medesima e unica porta.
    Possiamo immaginarla anche imprecisabile come la linea dell’orizzonte – qualche volta una vela a spezzarlo in due – o disperata come il cercarsi in mezzo ad una folla, avendo dimenticato il proprio nome.
    Indefinibile, ripeto: indefinibile motore, seducente e presente compagna.
    Un fiore in una foresta pietrificata.